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LA GESTIONE DEI RIFIUTI RADIOATTIVI

Pubblicato da “il Giornale” e dalla Rivista dell’Ingegnere”

di Sabino Gallo

Si stima che nei Paesi europei più industrializzati si producano,annualmente, circa 2500 kg per abitante di rifiuti da attività industriali molto diversificate, di cui l’uomo ha comunque bisogno per sopravvivere. Essi sono tanto numerosi da risultare di difficile classificazione.

Almeno 100 kg di questi rifiuti contengono sostanze stabili ed altamente tossiche e molto nocive per la salute umana e per l’ambiente (a titolo di esempio : arsenico, mercurio, amianto, piombo,benzene, cadmio, ecc.). Ma di questa enorme quantità di rifiuti, di difficile gestione e controllo, si parla poco e senza particolare allarmismo. Forse perché sono visibili e generano abitudine: riversati ed abbandonati in discariche abusive,anche in campi agricoli, sotterrati in cave illegali o trasferiti nei paesi poveri, direttamente dai produttori o tramite intermediari che ne traggono alti profitti illeciti. Appare opportuno chiedersi se questa situazione potrà protrarsi indefinitamente e quali possibili soluzioni potranno modificarla.

A questi rifiuti “convenzionali” si aggiungono i rifiuti radioattivi di attività note e comuni (medicina, ricerca,ecc.) e, soprattutto, quelli prodotti dalla industria elettro-nucleare (nei Paesi in cui esiste), sulla cui gestione l’opinione pubblica è spesso divisa da dubbi e pregiudizi, perché ne ha una conoscenza approssimativa, attribuendo spesso a tutti questi i rifiuti una eguale nocività.

Il rapporto tra le quantità di rifiuti industriali “chimici” e le quantità di rifiuti radioattivi “a vita lunga” è di circa 1000, anche se ci si riferisce ad un Paese come la Francia, la cui produzione di elettricità da fonte nucleare è pari a circa l’ 80 % del totale. E questo rapporto è destinato prevedibilmente a crescere, perché i rifiuti industriali “convenzionali” aumenteranno insieme ai consumi. Mentre si prevede, in continuità con il passato, una ulteriore riduzione delle già molto modeste quantità dei rifiuti radioattivi più nocivi ed “a vita lunga”, sia per le innovazioni tecnologiche che caratterizzano gli impianti attuali sia per quelle che prevedibilmente si aggiungeranno, sulla base di altri promettenti risultati della ricerca .

Per valutare i criteri di scelta delle soluzioni tecniche di una loro gestione sicura e controllata, è necessario tener presenti alcune considerazioni fondamentali:

  • di tutti i rifiuti radioattivi classificati si conoscono, con precisione: origine, localizzazione, quantità, caratteristiche di radio-tossicità e tempi di decadimento ;

  • le quantità dei rifiuti più nocivi e temuti, provenienti dall’industria elettro-nucleare, sono molto modeste. E la loro produzione ha subito una riduzione continua nel tempo, dovuta al miglioramento del combustibile nucleare,che permette un più alto “tasso di combustione”, con una maggiore permanenza in reattore (che aumenterà ulteriormente nei reattori di terza e quarta generazione);

  • inoltre, numerosi Paesi recuperano, in gran parte e già da molto tempo, le “materie valorizzabili” del combustibile usato (uranio e plutonio residui che, altrimenti,sarebbero considerati essi stessi “scorie”), separandole dai rifiuti propriamente detti (attinidi minori e prodotti di fissione). Questo processo riduce drasticamente le quantità di rifiuti nei paesi che ne hanno sviluppato la tecnologia (Francia, Gran Bretagna, Giappone,ecc., e prossimamente Cina, Usa ecc.);

  • nuovi metodi di trattamento e caratterizzazione permettono di selezionare più efficacemente i rifiuti di più alta attività da quelli di più bassa attività , facilitando e razionalizzando le operazioni di condizionamento, deposito e confinamento;

  • i centri di trattamento/condizionamento ed isolamento di tutti i rifiuti radioattivi occupano degli spazi molto modesti del territorio di ciascun paese ;

  • inoltre, il processo di trasformazione ( “trasmutazione” ) in reattori veloci, delle scorie più attive a vita lunga (attinidi minori : Americio e Nettunio ) in elementi meno attivi a vita nettamente più breve o anche stabili non è stato ancora industrializzato, ma è già stato sperimentato con successo su piccole quantità. La sua industrializzazione è prevista nel quadro dello sviluppo dei reattori di IV Generazione. Il successo atteso di questo processo limiterebbe i “rifiuti ultimi” ai soli prodotti di fissione.

Secondo la Commissione Europea, l’industria elettro-nucleare dei paesi dell’ U.E. produce,nel suo insieme, 40.000 m3 di rifiuti radioattivi all’anno (circa 90 cm3 per persona). Di questi, il 91 % circa è costituito da rifiuti di “debole e media attività a vita breve”, caratterizzati da una radioattività che decresce della metà in periodi non superiori a 30 anni. La parte restante comprende i rifiuti di “bassa e media attività a vita lunga”, circa l’ 8% , e quelli di “alta attività a vita lunga”, circa l’ 1%.

Ma quelli della prima categoria, cioè il 91 % dell’intero volume di rifiuti, contengono meno del 5% della radioattività totale. Quelli delle altre due categorie, malgrado il loro modesto volume, contengono la quasi totalità della radioattività, concentrata prevalentemente in quelli ad alta attività a vita lunga.

Tutti i rifiuti radioattivi sono rigorosamente caratterizzati, per poterne definire il trattamento, il condizionamento e l’isolamento per il tempo necessario alla eliminazione della loro nocività.

La gestione dei rifiuti di debole e media attività a vita breve (cioè più del 91 % di tutti i rifiuti) è praticamente uniforme in tutti i Paesi, con soluzioni definitive di eguale sicurezza per la protezione delle popolazioni e dell’ambiente. Ci si limita qui solo a notare che essi sono sistemati in depositi di superficie econtrollati per tutto il periodo del loro breve decadimento radioattivo.

Per una informazione più esauriente sulla gestione dei rifiuti di “media ed alta attività a vita lunga”, il riferimento più chiaro e completo è proprio quello del combustibile nucleare usato, perché i rifiuti in esso contenuti comprendono sia gli uni che gli altri. Come già accennato, si riassume qui la gestione adottata dai paesi nuclearizzati che hanno scelto, già da molto tempo, la strategia di recupero delle “materie valorizzabili” (uranio e plutonio residui) dal combustibile usato. E’ una strategia certamente più costosa ma che riduce in maniera drastica i volumi dei rifiuti “ultimi”,semplifica notevolmente le operazioni successive di movimentazione e sistemazione nei “depositi temporanei” e razionalizza lo “stoccaggio geologico” definitivo. A questo si aggiunge, naturalmente, il vantaggio di utilizzare nel migliore dei modi il combustibile nucleare.

I rifiuti restanti, dopo il recupero di uranio e plutonio residui, comprendono,quindi, soltanto i “prodotti di fissione” e gli “attinidi minori”( entrambi di alta attività) e le parti metalliche “attivate” della struttura degli elementi di combustibile (di media attività a vita lunga).

Trascurando i dettagli specialistici, essi sono trattati e condizionati separatamente, prima di essere trasferiti ad un deposito temporaneo ed, in seguito, al confinamento ultimo.

Per il loro condizionamento, le parti metalliche sono fortemente compattate, fino ad ottenere una densità quasi uguale a quella del metallo di cui sono fatte. Questa operazione riduce il loro volume ad 1/4 di quello degli elementi di combustibile eventualmente lasciati integri . Così trattate, queste parti metalliche saranno poi bloccate in contenitori standard di alta tecnologia, in acciaio inossidabile di alta resistenza . Invece, gli altri rifiuti (prodotti di fissione e attinidi minori), separati dal metallo, saranno incorporati in una matrice di vetro speciale (al borosilicato) altamente resistente al calore ed agli agenti chimici, che ha una durata di vita di centinaia di migliaia o milioni di anni (come gli stessi esempi in natura dimostrano), nella quale essi rappresentano solo il 15% circa del peso totale. I blocchi vetrosi così ottenuti saranno immobilizzati in contenitori “primari” standardizzati,uguali a quelli che conservano le parti metalliche. Questa standardizzazione facilita tutte le operazioni di manutenzione successive e permette di depositare questi contenitori primari, raggruppati in contenitori “secondari”, egualmente standardizzati, sistemati nelle strutture di deposito temporaneo di breve o lunga durata e successivamente in quello “geologico ultimo”. Uno stoccaggio “temporaneo” (di qualche decina di anni) in strutture di alta sicurezza controllate è, in ogni caso, necessario per i rifiuti di alta attività, per la necessità di evacuare il calore che i rifiuti vetrificati sviluppano, prima di trasferirli allo stoccaggio ultimo. Questo spiega perché non è stata sentita la necessità di realizzare finora i depositi geologici profondi ( neppure per i rifiuti condizionati dei primi reattori ). Ma l’orientamento attuale, ormai consolidato nella maggioranza dei Paesi, è quello di uno stoccaggio “temporaneo di lunga durata”(oltre un secolo e fino a tre ) superficiale o sub-superficiale,che permette una “gestione industriale controllata” più flessibile di questi rifiuti, senza privarsi di ulteriori innovazioni scientifiche e tecnologiche,già acquisite o indicate dalla ricerca, ma non ancora industrializzate. Tenendo presente che in questi depositi possono essere depositati anche gli elementi di combustibile non ancora trattati ed in attesa di esserlo, a seconda delle necessità.

E’ questa una strategia innovativa che mira a ridurre, sempre di più, la quantità e la pericolosità potenziale dei rifiuti ultimi ed a semplificare la realizzazione stessa dello stoccaggio geologico.

La concezione attuale di questo stoccaggio prevede che esso sia realizzato a profondità non inferiori a 500 metri, in formazioni argillose, granitiche ecc., impermeabili e di stabilità sismica accertata mai inferiore ai diecimila anni. Esso è la soluzione di riferimento che raccoglie il consenso internazionale, per assicurare il confinamento della radioattività e proteggere la biosfera per periodi di tempo di centinaia di migliaia di anni. Esso è costituito, essenzialmente, da barriere artificiali e naturali : 1) i contenitori tecnologici “primari”, di cui si è fatto cenno, ed altri “secondari”, che raggruppano i primi ; 2) una barriera sigillata di cemento armato; 3) la barriera naturale geologica.

Le opere ingegneristiche sono molto spesse, resistentissime ed antisismiche, anche se il sistema è realizzato in siti di alta stabilità.

I dubbi spesso evocati sono : degradazione nel tempo di tutte barriere artificiali,eventualmente causate dalla presenza di acqua interstiziale preesistente nella roccia o dalle improbabili penetrazioni successive di acqua, che provocherebbero una fuoriuscita di materiale radioattivo dai contenitori primari corrosi e la sua diffusione nell’ambiente circostante.

I numerosi studi con simulazioni finora realizzati, utilizzando i moderni laboratori sotterranei ed immaginando situazioni e condizioni penalizzanti di stoccaggio profondo tanto estreme da poterle considerare del tutto improbabili, dimostrano che sarebbero necessari molti millenni per alterare la tenuta stagna del sistema di barriere di protezione, corrodere anche la matrice vetrosa e causare una dispersione,in ogni caso insignificante, di materia radioattiva. Che rimarrebbe comunque confinata nelle immediate vicinanze, grazie alla protezione di un “gel” di silice risultante dal contatto del vetro con l’acqua ed inglobante i radioelementi in questione (poco solubili). Tutte queste condizioni riunite, una eventuale migrazione verso l’esterno di questi radioelementi attraverso la protezione geologica richiederebbe centinaia di migliaia di anni, come altri studi sperimentali hanno finora dimostrato.

Riassumiamo, per maggiore chiarezza, le conclusioni sulla gestione di questi rifiuti radioattivi potenzialmente più nocivi:

  • la loro quantità è diminuita con continuità nel tempo,con le innovazioni tecnologiche dei mezzi di produzione e separazione;

  • per tutti i rifiuti finora prodotti e che lo saranno nei prossimi decenni sono stati realizzati mezzi appropriati di condizionamento, isolamento e controllo. Questi rifiuti sono temporaneamente isolati in depositi temporanei di breve o lunga durata di alta sicurezza e controllati, per proteggere l’uomo ed, in generale, l’ambiente. Nessun danno significativo valutabile è stato mai riscontrato;

  • la ricerca, nei paesi guida più avanzati, continua con intensità, per realizzare i mezzi di trasformazione (trasmutazione) dei rifiuti di più alta radiotossicità (cioè gli attinidi minori) in rifiuti di minore potenziale nocività ed a vita molto più breve;

  • la ricerca continua con eguale intensità (utilizzando laboratori sotterranei) sulla identificazione e modellizzazione dei processi evolutivi dello “stoccaggio geologico ultimo”, di cui è già stata definita la concezione d’insieme. Ma di cui non si sente attualmente l’urgenza. I risultati delle ricerche in corso permetteranno di semplificarne la realizzazione, quando sarà necessaria, e diminuirne i costi.

Considerazioni : L’industria nucleare, in decenni di ricerca nei paesi nuclearizzati avanzati, ha messo a punto e sperimentato, a lungo e con successo, i mezzi ed i metodi che permettono di gestire i rifiuti radioattivi di qualsiasi categoria in condizioni di sicurezza. Non è affatto vera l’affermazione di alcuni, spesso diffusa per cattiva informazione o intenzionalmente per altri fini, che “non si sa cosa fare dei rifiuti nucleari”.

Vale la pena di ricordare sempre, soprattutto nel nostro Paese, che tutta la questione energetica (qualsiasi siano le fonti) deve essere trattata con alto senso di responsabilità e senza inquinamenti ideologici di natura politica (i più pericolosi), perché è molto alto il rischio che eventuali scelte non razionali potrebbero comprometterne gravemente lo sviluppo ed il futuro delle nuove generazioni. Gli italiani non possono più accettare che il loro futuro sia sempre in ritardo e non possono più essere costretti a vivere solo del loro passato.