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NOTE SULLA SICUREZZA NUCLEARE

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Premessa

 

Uno dei presunti aspetti negativi che vengono portati a carico dell'energia nucleare è quello della scarsa sicurezza ed inaffidabilità. Poiché in questo campo la disinformazione regna sovrana, le presenti note hanno lo scopo di illustrare in forma semplice ma assolutamente rigorosa la reale situazione della tematica in oggetto.

Pertanto si riportano di seguito le principali caratteristiche di sicurezza dei reattori nucleari attuali e di quelli in costruzione (Generation III, III+ e IV, fra i quali l’EPR, European Pressurized Reactor e l’HTR, High Temperature Reactor). Le considerazioni riportate si intendono principalmente per standard di tipo occidentale. La presente esposizione, dato il suo fine divulgativo, non pretende di trattare in maniera completa ed esaustiva l’argomento (data la sua estrema vastità e complessità), ma solo di dare una visione di massima della tematica al largo pubblico.


Glossario

APAT: Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i servizi Tecnici. Svolge i compiti e le attività tecnico-scientifiche di interesse nazionale per la protezione dell’ambiente. Nasce dalla fusione della Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (ANPA) ed il Dipartimento per i Servizi Tecnici della Presidenza del Consiglio dei Ministri

Becquerel: unità di misura dell’attività di un dato nuclide radioattivo. Esprime il numero di disintegrazioni al secondo (1 curie = 37 miliardi di becquerel)

BISO: BInary Sealed Oxide, particella di combustibile a doppia sigillatura messa a punto dalla General Atomics

Burnup: parametro caratteristico di un dato tipo di reattore e di combustibile; indica il quantitativo di energia che si può estrarre per unità di peso di combustibile. Generalmente si misura in MWd/tonn

BWR: Boiling Water Reactor, ossia Reattore nucleare ad Acqua Bollente. In questo tipo di reattore l’acqua di refrigerazione che attraversa il nocciolo cambia fase, e si porta allo stato vapore (con un titolo medio del 14,7 %)

Cladding: incamiciatura in cui sono contenute le pastiglie di ossido di uranio. Costituisce parte integrante dell’elemento combustibile, e sono generalmente realizzate in lega di zirconio (zircaloy 2 o 4)

Core: nocciolo del reattore nucleare, dove è contenuto il combustibile nucleare e dove quindi avvengono le reazioni di fissione nucleare con conseguente liberazione di energia (termica)

Corium: massa lavica fusa, costituita dal core del reattore in seguito ad incidente severo

CP (Coated Particle): particella rivestita, utilizzata quale elemento di combustibile nucleare in alcuni reattori di IV generazione. Consta di un nucleo di combustibile rivestito da buffer di carbonio, carbonio pirolitico e carburo di silicio

DOE: Department Of Energy, ossia Dipartimento per l’Energia degli USA. Il suo compito è quello di promuovere le tecnologie e l’innovazione in campo energetico

ECCS: Emergency Core Cooling Systems, ossia sistemi di raffreddamento di emergenza del nocciolo del reattore nucleare. Entrano in funzione in caso di incidente e devono soddisfare alcuni requisiti normativi molto rigidi

ENEA: Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente. La sigla inizialmente indicava l’Ente Nazionale per l’Energia Atomica

EPR: European Pressurized Reactor, ovvero Reattore Pressurizzato Europeo; trattasi del reattore di generazione III realizzato dall’AREVA (consorzio franco-tedesco fra Framatome e Siemens)

Fertile (isotopo): isotopo di un elemento capace di dar luogo al fenomeno della fissione nucleare con neutroni di una data energia, e che può trasformarsi in isotopo fissile per assorbimento di un neutrone (es.: U238)

Fissile (isotopo): isotopo di un elemento capace di dar luogo al fenomeno della fissione nucleare con neutroni di qualsiasi energia (es.: U235)

HTR: High Temperature Reactor, ovvero Reattore nucleare ad Alta Temperatura. E’ un reattore di ultima generazione, a bassa densità di potenza (con transitori termici lenti a favore della sicurezza), moderato a grafite e refrigerato a gas (elio). Fra le altre cose consente di ottenere alti rendimenti termodinamici, di produrre idrogeno dall’acqua, e di bruciare le scorie

IAEA: International Atomic Energy Agency, ovvero Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. Rappresenta il centro mondiale per la cooperazione in campo nucleare e per la promozione delle tecnologie nucleari in campo pacifico, ed è stata fondata nel 1957 quale organismo delle Nazioni Unite

Licensing: iter autorizzativo che porta alla licenza di esercizio dell’impianto, rilasciato dall’autorità competente in seguito all’osservanza delle (restrittive) norme in materia

LOCA: Loss Of Coolant Accident, ovvero incidente da perdita di refrigerante. Si ha in seguito a rottura della tubazione primaria con conseguente perdita del refrigerante del reattore

Loop: circuito idraulico di cui si compone l’impianto nucleare. Ogni singolo loop collega il reattore nucleare alle pompe ed al generatore di vapore. Si possono avere impianti con diversi numeri di loop

Megawatt (MW): unità di misura della potenza di un impianto. Un megawatt è pari a 1000 chilowatt

Meltdown: incidente nucleare di grave entità in seguito al quale il nocciolo del reattore fonde completamente trasformandosi in una massa lavica. In impianti di tipo occidentale non si è mai verificato

Moderatore: sostanza adatta a rallentare i neutroni originatisi dalle reazioni nucleari di fissione a energie in equilibrio con l’agitazione termica degli atomi (dell’ordine di 1/40 di elettronvolt). Un buon moderatore oltre a rallentare i neutroni (e quindi presentare basso numero di massa), non deve ‘assorbirli’, e deve essere sufficientemente denso. Tipicamnte vengono adopearti acqua ordinaria, acqua pesante e grafite

Pellet: pastiglia di ossido di uranio sinterizzata (generalmente al 95 % della sua densità teorica). Rappresenta il combustibile nucleare ceramico che alimenta il reattore

Plutonio: metallo radioattivo artificiale della serie degli attinidi, non presente in natura (se non in minime tracce), prodotto per la prima volta il 23 febbraio del 1941 da G. Seaborg, M. Cefola, E.M. McMillian, J.W. Kennedy ed A.C. Wahl. Esistono diversi isotopi di tale elemento, il più diffuso dei quali è quello fissile (Pu239). Può venire adoperato sia per alimentare i reattori nucleari (in miscela con l’uranio negli ossidi misti – MOX) che per la costruzione degli ordigni nucleari (in questo caso deve essere particolarmente ricco di isotopo 239 e povero del 240, che dato l’alto tasso di fissione spontanea di quest’ultimo, rende impraticabile l’utilizzo in un ordigno se presente in quantità superiori al 7 %, portando alla predetonazione della bomba). Il plutonio da utilizzare negli ordigni deve essere prodotto tipicamente in reattori dedicati allo scopo (ma può essere prodotto anche in reattori per uso civile che non richiedano la fermata dell’impianto, tipo CANDU o RBMK). E’ un metallo tossico e quindi deve  smaltito opportunamente (è stato definito come ‘la sostanza più tossica conosciuta’, ma ciò è privo di fondamento: ad oggi non sono ancora state attibuite morti ad esposizione da plutonio, ed inoltre si stima ad esempio che il radio, metallo radioattivo presente in natura, sia 200 volte più radiotossico, come anche la tossina botulinica – che presenta una dose letale pari a 300 picogrammi - miliardesimi di grammo - per chilogrammo di peso corporeo)

PWR: Pressurized Water Reactor, ovvero Reattore Nucleare ad acqua Pressurizzata. In questa tipologia di design non è previsto cambiamento di fase dell’acqua che attraversa il nocciolo del reattore; la generazione del vapore che alimenta le turbine è affidata ad un circuito secondario attraverso un generatore di vapore

Radioattività: fenomeno fisico naturale, che può però essere anche indotto artificialmente (radioattività artificiale). Consiste nella disintegrazione di un nucleo atomico instabile con emissione di raggi alfa (nucleai di elio), beta (elettroni), o gamma (fotoni). Si misura in becquerel (il curie è in disuso)

Reattività: termine che esprime lo scostamento del reattore nucleare dalla condizione di criticità (ossia quella condizione di equilibrio fra produzione di neutroni nel mezzo moltiplicativo – tipicamente il combustibile – e la loro scomparsa per cattura o fuga). Un reattività positiva indica un incremento di potenza del reattore, una reattività negativa una diminuzione

Scram: spegnimento rapido del reattore, attuato spesso attraverso il rapido inserimento delle barre di controllo, sia automaticamente che manualmente, da parte dell’operatore. Trattasi dell’acronimo di Safety Control Rod Axe Man (ossia Uomo con la Scure addetto alla Barra di Controllo di Sicurezza), e si riferisce all’operatore che doveva intervenire in caso di necessità inserendo la barra di sicurezza (attraverso il taglio netto di una corda che la sosteneva) nell’esperimento della Chicago Pile di Fermi del 2 dicembre 1942.

Sezione di cattura: parametro fisico, relativo ad ogni isotopo, che indica la probabilità che avvenga una data reazione nucleare. Si misura tipicamente in barn (1 b = 10-28 m2)

Sievert: unità di misura del Sistema Internazionale (SI) dell’equivalente di dose (in onore del fisico Rolf Sievert). E’ pari a 1 joule/chilogrammo (1 Sv = 100 rem). Una dose di 6 sievert sotto forma di radiazioni ionizzanti è generalmente mortale, mentre la stessa quantità di energia somministrata sotto forma di calore innalza la temperatura corporea di circa un millesimo di grado centigrado

Snubbers: smorzatori delle sollecitazioni che possono insorgere in seguito ad evento sismico sulle tubazioni di un impianto nucleare

TRISO: TRInary Sealed Oxide, particella di combustibile a doppia sigillatura messa a punto dalla General Atomics

Uranio: metallo radioattivo delle serie degli attinidi, scoperto nel 1789 dal farmacista tedesco Martin Heinrich Klaproth, di colore bianco argenteo e di densità pari a 19,1 Kg/l (da confrontare con quella del piombo, pari a 11,34 Kg/l). In natura è composto principalmente dai due isotopi 235, fissile, in misura pari allo 0,72 %, ed il 238, fertile, in misura pari allo 99,275 % (ci sono anche tracce di uranio 234 nella misura dello 0,0058 %). L’isotopo più abbondante presenta un periodo di dimezzamento (ossia il tempo necessario affinchè il numero di atomi radioattivi presenti sia ridotto della metà per decadimento radioattivo) pari a 4,468 miliardi di anni. Presenta una abbondanza sulla crosta terrestre pari a 2,5 ppm (da confrontare con quella dello stagno, ad esempio, pari a 2,1 ppm). Ci sono ingenti quantitativi di uranio anche nell’acqua del mare (anche se al momento la sua estrazione non è conveniente)

Vessel: contenitore esterno del reattore nucleare, generalmente costituito da uno spesso strato (dell’ordine di 20 cm) di acciaio al carbonio

 
1 -
La filosofia della sicurezza negli impianti nucleari

1.1  - Obiettivi della Sicurezza Nucleare

Gli obiettivi della sicurezza nucleare [13] consistono nell'assicurare condizioni di localizzazione e di impianto tali da soddisfare principi di protezione adeguati, quali, ad esempio, i principi radioprotezionistici internazionalmente accettati.

In particolare l'impianto nel sito scelto dovrà garantire che la popolazione ed i lavoratori non ricevano effetti sanitari da radiazioni superiori nei limiti stabiliti e che tali effetti siano, comunque, i più bassi ragionevolmente ottenibili in tutte le condizioni operative ed in caso di incidenti.

 

1.2  - L'approccio di base della Sicurezza Nucleare

Nel settembre del 1989 [6] la IAEA[1] organizzò a Vienna una riunione per discutere delle filosofie di sicurezza da adottare per gli impianti nucleari occidentali. Si discuteva molto a quell’epoca sulla necessità di prevedere o meno dei piani d’emergenza in caso di incidente nucleare grave. L’approccio seguito fino ad allora era di tipo ‘probabilistico’: ossia la frequenza di accadimento di tale evento doveva essere dell'ordine di migliaia o centinaia di migliaia di anni. Tuttavia ci si rese conto che alla popolazione poco importava se un incidente si fosse verificato oggi, e poi la prossima volta fra 1 milione di anni!

Fu così che la delegazione italiana, assieme a quella francese, proposero di passare ad un approccio di tipo ‘deterministico’: ovvero di effettuare per ogni impianto un'analisi di sicurezza in modo da garantire che per qualsiasi incidente, per quanto grave (anche con fusione del nocciolo del reattore - il temuto meltdown), non ci sarebbe stato nessun effetto sanitario al di fuori della centrale. Era un principio già adottato in Francia ed in Italia, volto a disaccoppiare le motivazioni più squisitamente tecniche da quelle tipiche della protezione civile. Il principio fu accolto ed adottato dalla IAEA.


2 – La Sicurezza Nucleare degli impianti esistenti e futuri

 2.1 - I reattori esistenti (Generation II)

Il principio di base del design degli impianti nucleari è quello della difesa in profondità. Le barriere che si interpongono fra la popolazione e la fuoriuscita dei prodotti radioattivi sono almeno quattro: la matrice[2] del combustibile, l’incamiciatura, il circuito refrigerante (di cui fa parte il vessel), il sistema di contenimento.

 Il contenimento esterno del reattore (assente del caso del reattore di Chernobyl[3]) serve sia per proteggere l’ambiente esterno dall’impianto (in caso di incidente e conseguente rilascio di prodotti radioattivi) che viceversa (attentati, incidenti aerei, inondazioni, etc.).

Un contenitore tipico della tecnologia occidentale (cilindrico con cupola emisferica) del tipo Framatome N4 presenta le seguenti caratteristiche [2]:

 

- diametro interno:                             43,80 m

- spessore :                                       1,20 m

- altezza massima :                            59,16 m

- volume interno :                               78˙000 m3

- spessore contenitore secondario:        0,055 m

 

Sia il contenitore che l’intercapedine prevista fra le due strutture di contenimento sono mantenuti in depressione in modo da minimizzare le perdite verso l’esterno (principio del doppio contenimento).

Può sopportare pressioni interne dell’ordine di 7 Kg/cm2 (ovvero pari al primo picco di pressione in seguito a LOCA[4]). Al suo interno sono contenuti una serie di spray che ‘innaffiano’ il reattore in caso di incidente, riducendo il quantitativo di prodotti radioattivi gassosi dispersi nel contenimento e contribuendo al raffreddamento.

Il circuito refrigerante del reattore rappresenta la seconda barriera fisica fra il rilascio dei prodotti radioattivi e l’esterno. Trattasi di un circuito di tubi di acciaio inossidabile austenitico (fig. 2.1), che collegano fra loro il vessel, le pompe di circolazione, i generatori di vapore ed il pressurizzatore. Sono progettati prendendo in considerazione tutti i carichi relativi a tutte le condizioni operative in cui l’impianto potrebbe venire a trovarsi. La disposizione delle tubazioni consente una adeguata flessibilità in modo da consentire la limitazione delle sollecitazioni in seguito a particolari condizioni di esercizio. Sono previsti opportuni sistemi di vincolo (smorzatori[5], fig. 2.2) per limitare le sollecitazioni dinamiche in caso di sisma (sull’argomento vedi anche l’app. B).

 

Figura 2.1 – Dettaglio del circuito refrigerante di un reattore PWR (Pressurized Water Reactor)

 

Figura 2.2 – Dettaglio di uno snubber per la limitazione delle sollecitazioni sismiche

 

Procedendo nell’analisi delle barriere che si interpongono fra i prodotti di fissione e l’esterno si incontra l’incamiciatura[6] del combustibile (fig. 2.3). Compito di quest’ultima è quello di contenere, anche strutturalmente, le pellet di ossido di uranio che costituiscono il combustibile nucleare. Normalmente sono realizzate in lega di zirconio (zircaloy-2 o zircaloy-4), ma in alcuni casi anche in acciaio inossidabile. Trattasi di leghe resistenti alla corrosione. Gli elementi di combustibile vengono chiusi alle estremità con tappi saldati elettronicamente, dopo essere stati riempiti di gas elio a pressioni dell’ordine di 20÷30 Kg/cm2, consentendo così anche la verifica certa e semplice del grado di tenuta delle guaine. Nella zona superiore della barretta viene lasciato un volume pari al 5 % del totale per consentire la raccolta dei gas prodotti dalla fissione nucleare.

 

 

Figura 2.3 – Dettaglio dell’elemento combustibile di un PWR (Pressurized Water Reactor)

 Ultima barriera infine al rilascio dei prodotti radioattivi verso l’esterno può essere considerata la stessa matrice ceramica che compone il combustibile nucleare (fig. 2.4). Il combustibile nucleare infatti (generalmente uranio) si presenta nella forma di ossido (UO2) in polvere di diverse granulometrie, sinterizzate al 95% della densità teorica dopo pressatura a freddo. Tale materiale presenta notevole stabilità ad alta temperatura ed una adeguata resistenza alle radiazioni. Presenta punto di fusione pari a 2865 °C, ed è inerte ad attacco chimico con acqua calda. Presenta ottime capacità di ritenzione dei gas di fissione fino a 1000 °C.

 

Figura 2.4 – Dettaglio delle pellet di uranio

 
A tali barriere ingegneristiche di tipo passivo si aggiungono poi una lunga serie di sistemi di sicurezza, attivi e passivi, atti a prevenire o gestire le più svariate condizioni incidentali, alcuni dei quali sono riportati nell’appendice D.

I dati riportati finora fanno principalmente riferimento ad impianti di tipo PWR. Come ulteriore esempio di impianto attualmente funzionante si riporta [1] di seguito l’illustrazione (fig. 2.5) delle caratteristiche di sicurezza di un tipico impianto nucleare ad acqua bollente (BWR).

 

Figura 2.5 – Barriere multiple in un convenzionale reattore ad acqua bollente (BWR)

 
Si possono notare, nell’ordine (dall’esterno verso l’interno):

-       edificio di contenimento in cemento armato dello spessore di circa 1 metro

-       maglia d’acciaio spaziata di circa 30 centimetri del diametro di circa 6 cm

-       liner metallico interno di contenimento dello spessore di circa 4 cm

-       parete del Dry Well[7], con rinforzo in maglia metallica di circa 6 cm e parete di cemento armato dello spessore di circa 1,5 metri

-       schermo biologico, dello spessore di oltre un metro, con copertura metallica interna ed esterna di circa 2,5 cm

-       vessel del reattore, in acciaio al carbonio, dello spessore tipico dell’ordine di 20 cm

-       matrice ceramica del combustibile

-       Weir Wall[8], dello spessore di circa mezzo metro

-       piedistallo, dello spessore di circa 2 metri, con ricopertura sia esterna che interna di 2,5 cm di acciaio.

 

2.2 - Generation III e III+ (EPR e HTR)

I reattori nucleari delle Generation III e III+ presentano delle caratteristiche innovative rispetto ai reattori della II° generazione. L’obiettivo di questa tipologia di reattori è quello di 108 anni/reattore senza incidenti, ovvero, in altri termini, un reattore costruito all’epoca dei dinosauri (ossia all’inizio del periodo Cretacico superiore) avrebbe meno del 50% della probabilità fino ad ora di essere soggetto ad un guasto.

In questo contesto si colloca l’EPR (European Pressurized Reactor), inizialmente sviluppato dalla francese Framatome e dalla tedesca Siemens [8] (attualmente, per la parte nucleare, fuse nell’AREVA). Le caratteristiche del progetto riguardano un incremento ulteriore della sicurezza nucleare ed una migliore competitività economica. Trattasi di un reattore da 1600 MWe, per un costo previsto di 3 miliardi di € (una centrale di questo tipo è già in costruzione ad Olkiluoto, in Finlandia). Il reattore può bruciare uranio arricchito fino al 5 %, come anche i combustibili MOX (ossidi misti di uranio e plutonio). Il rendimento termodinamico è del 36 %, burnup 60 GWd/t (contro i 33 GWd/t dei reattori tradizionali), fattore di utilizzazione fino al 92 %, livello sismico 0,25 g, vita operativa 60 anni. Tale reattore potrebbe fornire energia elettrica  al nostro Paese ad un costo di 2÷2,5 eurocent/KWh (applicando il modello di calcolo presentato in [9]). Tale filiera presenta delle ulteriori importanti innovazioni in merito alla sicurezza nucleare rispetto agli impianti tradizionali (fig. 2.6). Una descrizione più approfondita dell’EPR ed in particolare delle sue caratteristiche di sicurezza è riportata nell’app. E.

 

Figura 2.6 –Principali sistemi di sicurezza del reattore EPR [8]

Fra gli altri sistemi della Generation III si può annoverare l’AP600 (Advanced Passive, da 600 MWefig. 2.7). Trattasi di un reattore a due loop[9], con margini di sicurezza più significativi e semplificazioni impiantistiche. Il generatore di vapore è stato ingrandito per incrementare i margini operativi. La sua densità di potenza è stata ridotta del 30 % rispetto ai PWR tradizionali. I sistemi passivi di sicurezza basano il loro funzionamento sulla l’azione della gravità, come nel caso della circolazione naturale, oppure sull’energia accumulata, come ad esempio quella dei gas compressi. Tali sistemi inoltre sono progettati per esplicare la loro azione per 72 ore dopo l’evento incidentale, indipendentemente dall’azione degli operatori. Sono previsti un insieme di sistemi iniezione di acqua borata (azionati da azoto compresso) passivi per lo spegnimento automatico del reattore in caso di necessità. La rimozione passiva del calore è affidata anche all’edificio di contenimento, attraverso la circolazione naturale dell’aria (effetto camino) nell’intercapedine fra il guscio metallico e la parete di calcestruzzo. Un mezzo aggiuntivo per il raffreddamento è costituito da un deposito di acqua sulla cima dello schermo di calcestruzzo. Tale deposito è progettato per operare per 3 giorni, dopo i quali dovrebbe essere nuovamente riempito. In ogni caso, anche se questo non avvenisse l’edificio di contenimento raggiungerebbe la sua massima pressione entro 2 settimane, e sarebbe apri al 90 % della pressione di progetto. Si stima presenti un costo di installazione di 1370 $/KW.

 

Figura 2.7 – Sistema di contenimento del reattore AP600 con sistemi di rimozione passiva del calore

 
Oltre a quelli già descritti, fra i sistemi della Generation III c’è poi l’SBWR (Simplified Boiling Water Reactor), reattore da 600 MWe, che unisce le sue caratteristiche di circolazione naturale e sicurezza passiva per rafforzare le misure di sicurezza e la semplificazione impiantistica. Anche in questo caso la potenza è stata ridotta del 25 % rispetto al BWR per incrementare i margini di sicurezza. La circolazione naturale (o meglio la ricircolazione) rappresenta la caratteristica più interessante di questa tipologia di reattori. Anche in questo caso molti dei componenti sono realizzati in fabbrica (invece che sul cantiere), consentendo minori tempi di realizzazione e costi.

Infine, last but not least, fra i reattori della Generation III e III+ rientrano i reattori a gas ad alta temperatura. L’elemento fondamentale della sicurezza per i reattori HTR [12] è costituito dal fatto che gli esperimenti di surriscaldamento per simulare situazioni incidentali hanno indicato che i prodotti di fissione sono trattenuti praticamente del tutto (in assenza di acqua e di aria) nelle particelle TRISO per temperature inferiori a 1600 °C. Inoltre la bassa densità di potenza tipica di questi reattori (qualche KW/l) fa si che anche questa temperatura non venga mai raggiunta. Una descrizione più approfondita del reattore HTR ed in particolare delle sue caratteristiche di sicurezza è riportata nell’app. F.

 

2.3 - Generation IV

I reattori della futura generazione sono attualmente allo studio, e si suppone saranno commercialmente disponibili a partire dal 2030. Difatti, per iniziativa del DOE[10], è nata alcuni anni fa la Generation IV Initiative: si tratta di un progetto a lungo termine, che si occupa di tutti gli aspetti connessi alla produzione di energia per via nucleare (nuovi reattori, cicli del combustibile innovativi, produzione di idrogeno e di acqua potabile, ecc.) e rappresenta la “naturale” evoluzione di questa tecnologia (fig. 2.8).

 

Figura 2.8 – L’evoluzione della tecnologia nucleare [15] 

Questo progetto è caratterizzato da quattro scopi fondamentali [15]:

  • Economicità di esercizio
  • Sicurezza intrinseca e passiva anche nelle più severe condizioni incidentali;
  • Minimizzazione del volume di scorie e della loro radiotossicità
  • Resistenza alla proliferazione 

In particolare, per ciò che concerne il secondo punto, sono richieste caratteristiche di sicurezza intrinseca “trasparenti”, ossia comprensibili anche per i non esperti, sì da aumentare, a meno di prese di posizione ideologiche, la confidenza dell’opinione pubblica nei confronti dell’energia nucleare. Gli scopi di tale iniziativa (fra cui un ruolo fondamentale è ricoperto dagli aspetti di sicurezza) sono riportati nella tab. 2.1.

GenIV_scopes

Tabella 2.1 – Scopi della Generation IV Initiative [15]

 

La IV Generazione mira, in sostanza, ad un “nucleare sostenibile”, capace di sfruttare al meglio le risorse disponibili nel rispetto dell’ambiente. Per ulteriori approfondimenti sull’argomento si invita a consultare [15].


3 - Procedura Autorizzativa per l'avvio di un impianto nucleare

 

Costruire una centrale nucleare non è una cosa semplice in quanto le autorità competenti sottopongono ogni nuova iniziativa a controlli accurati e completi.

Le brevi note che seguono indicano, per sommi capi, i passi necessari per ottenere la Licenza di Esercizio degli impianti nucleari nel nostro Paese. Come è facile evincere gli enti coinvolti sono innumerevoli, mentre gli attori sono almeno tre: l’Utility (che potrebbe essere, ad esempio, l’ENEL), il Costruttore (ad es. Ansaldo), e l’Ente di Controllo (ad es. APAT). Trattasi di entità separate e del tutto indipendenti; la realizzazione degli impianti è subordinata alla loro approvazione.

Per chi volesse approfondire l’argomento si consiglia di consultare [5] e [13].

Le procedure autorizzative per la costruzione e la messa in esercizio di un impianto nucleare nel nostro Paese (ed in generale in tutti i Paesi Occidentali) sono particolarmente lunghe e complesse.

Si riporta di seguito in tab. 3.1 il riassunto delle varie fasi dell’istruttoria assieme alla documentazione richiesta [5].

 

Fasi

Ente

Documentazione richiesta

1) Nulla osta di costruzione

MSE

a) Progetto di massima

b) Rapporto preliminare di sicurezza

2) Costruzione parti rilevanti

APAT

Progetti particolareggiati

3) Prove non nucleari

APAT

Programma delle prove

4) Prove nucleari

APAT

a)  Rapporto intermedio di sicurezza

b)  Regolamento di esercizio

c)  Manuale delle operazioni

d)  Certificazione esito favorevole prove non nucleari

e)  Programma generale delle prove

f)   Specifiche dettagliate delle prove

g)  Proposte di prescrizioni tecniche

h)  Organigramma del personale

i)   Piano di emergenza esterna

5) Licenza di esercizio

MSE

a) Certificazione esito favorevole delle prove       nucleari

b) Tutti i documenti già indicati al punto 4

Tabella 3.1 – Fasi dell’istruttoria per la messa in marcia di un impianto nucleare [5]

 

3.1 - Fase A: Ottenimento da parte del richiedente del nulla osta di costruzione

Il richiedente trasmette al Ministero dello Sviluppo Economico (MSE) il Progetto di Massima dell’Impianto ed il Rapporto Preliminare di Sicurezza.

Copia di tali documenti viene inviata dal MSE all’Ente di Controllo (APAT), il quale redige una relazione tecnica sul Progetto di Massima, che a sua volta viene inviata al MSE, che la inoltra ai Ministeri della Sanità, Lavoro, Lavori Pubblici, Interno e Beni Culturali.

Questi ultimi entro 60 giorni devono esprimere un parere in merito al Progetto di Massima ed all’ubicazione dell’impianto, recepite dalla commissione tecnica dell’Ente di Controllo, che esprime quindi un parere tecnico finale. Uno schema esemplificativo[11] della procedura è riportato nella fig. 3.1.

In seguito a tale procedura il MSE trasmette al richiedente:

a)     Autorizzazione e nulla osta alla costruzione

b)    Elenco dei componenti dell’impianto ritenuti rilevanti ai fini della sicurezza nucleare e della protezione sanitaria

 

3.2 - Fase B: Approvazione dei Progetti Particolareggiati

In seguito alla Fase 1 il richiedente trasmette all’Ente di Controllo i progetti particolareggiati delle parti dell’impianto, completi delle relazioni tecniche che ne dimostrino la rispondenza ai fini della Sicurezza Nucleare e della Protezione Sanitaria.

 

Figura 3.1 – Schema della procedura autorizzativa per l’ottenimento del nulla osta di costruzione[12].

 

3.3 - Fase C: Approvazione del Progetto delle Prove Combinate d’Impianto

Tali prove, di natura “non nucleare”, sono antecedenti al caricamento del combustibile nucleare.

Al termine della costruzione delle parti d’impianto contenute nei Progetti Particolareggiati, il richiedente trasmette il Programma Generale delle Prove Combinate d’Impianto all’Ente di Controllo, il quale, sentita la commissione tecnica, provvede ad approvarle.

 

3.4 - Fase D: Esecuzione delle Prove Combinate d’Impianto

La responsabilità per la corretta esecuzione di tali prove, in accordo col Programma approvato al precedente punto, ricade sul richiedente.

Assistono alle prove gli ispettori dell’Ente di Controllo. Successivamente in caso di idoneità quest’ultimo autorizza il caricamento del combustibile nucleare (fino a questo punto infatti si è gestito un impianto del tutto convenzionale).

 

3.5 - Fase E: Approvazione del Piano d’Emergenza Esterno

Il Piano d’Emergenza Esterno contempla l’insieme delle azioni da compiere da parte delle autorità responsabili, in caso di incidente, per la pubblica incolumità. Con anticipo di almeno 150 giorni il richiedente invia all’Ente di Controllo i seguenti documenti:

-            Rapporto Intermedio di Sicurezza

-            Rapporto Tecnico

L’Ente di Controllo sottopone i documenti alla commissione tecnica. Il Rapporto Tecnico (entro 30 giorni) viene inviato al Ministero dell’Interno, che lo inoltra al Prefetto di competenza.

Il Piano d’Emergenza Esterno viene compilato dal Comitato apposito della Prefettura, inviato all’Ente di Controllo, che sentita la commissione tecnica lo invia al Ministero dell’Interno entro 30 giorni. Quest’ultimo procede all’approvazione entro 10 giorni. Ad approvazione avvenuta il Ministero dell’Interno invia il Piano d’Emergenza esterno al Prefetto (che dispone tutte le misure necessarie in caso di necessità) ed al richiedente.

 

3.6 - Fase F: Approvazione del Programma Generale delle Prove Nucleari

Il richiedente trasmette all’Ente di Controllo la seguente documentazione:

-       Rapporto Finale di Sicurezza

-       Regolamento di Esercizio

-       Manuale di Operazione

-       Programma Generale delle Prove con Combustibile Nucleare

-       Certificato di esito positivo delle prove non nucleari

-       Organigramma del personale preposto ed addetto all’esercizio dell’impianto (con relative patenti di idoneità)

-       Proposte di Prescrizioni Tecniche

L’Ente di Controllo, sentita la commissione tecnica, provvede ad approvare il Programma delle Prove Nucleari.

 

3.7 - Fase G: Esecuzione delle Prove Nucleari

Il richiedente è tenuto a presentare all’Ente di Controllo le specifiche dettagliate di ciascuna prova; quest’ultimo rilascia il permesso condizionandolo all’osservazione o meno di alcune prescrizioni. Per ogni prova deve essere compilato il relativo verbale, a cura del richiedente (che è responsabile della corretta esecuzione e dell’esattezza dei calcoli).

 

3.8 - Fase I: Licenza di Esercizio

In seguito ad esito positivo delle prove nucleari il richiedente richiede la Licenza di Esercizio (quella che consente di ‘accendere’ ed ‘usare’ l’impianto) al MSE, che la rilascerà con validità annuale.

 

4 - Conclusioni

Dalle argomentazioni sopra esposte appare evidente come il tema della sicurezza nucleare abbia occupato un posto centrale nella progettazione degli impianti sin dall’inizio della loro storia. Esprimendosi in gergo automobilistico si potrebbe dire che gli impianti nucleari sono ‘nati’ con le cinture di sicurezza, gli airbag e le barre laterali. Appare dunque ingiustificato il timore del pubblico verso lo sfruttamento di questa forma di energia (si ricordi peraltro che accendendo il ‘fuoco’ atomico l’uomo ha imparato a convertire la massa in energia 2 milioni di volte più efficacemente dell’uomo primitivo!), ingiustamente demonizzata da un’informazione spesso propagandistica, ideologica e ‘terroristica’.

Le argomentazioni tecniche addotte nel presente documento cercano di fare chiarezza, seppur sinteticamente ed in maniera assolutamente non esaustiva, sulla tematica. La sostanziale assenza di incidenti rilevanti ai fini della protezione sanitaria in impianti di tipo occidentale a partire dall’accensione della prima pila atomica (ad opera di Enrico Fermi, il 2 dicembre 1942), dovrebbe costituire una chiara evidenza di quanto si è cercato di esporre.


Appendice A - L’incidente Nucleare di Chernobyl

L’incidente alla centrale nucleare di Chernobyl (Чорнобиль, Čornobyl, in lingua ucraina – fig. A.1), avvenuto il 26 aprile del 1986 (alle 01:23:58 ore locali) in Ucraina (allora Unione Sovietica) al reattore numero 4, rappresenta il più grave evento nella storia delle applicazioni pacifiche dell’energia nucleare.

L’impianto era composto da 4 reattori da 1000 MWe ognuno, e produceva circa il 10 % dell’energia elettrica ucraina. Il primo reattore fu commissionato nel 1977, il secondo nel 1978, il terzo nel 1981, ed il quarto (quello che subì l’incidente) nel 1983. Si trattava di reattori del tipo RBMK-1000 (РБМК - Реактор Большой Мощности Канальный, ossia Reaktor Bolshoi Moshchnosty Kanalny, che significa ‘reattore di grande potenza a canali’), prodotti solo in Unione Sovietica. Fu progettato sia per produrre plutonio che per produrre energia. Utilizzava acqua naturale per il raffreddamento e grafite come moderatore dei neutroni: in tale configurazione era possibile adoperare l’uranio naturale quale combustibile (il fatto di non richiedere né uranio arricchito né acqua pesante abbassava notevolmente i costi di costruzione ed esercizio), anche se nel caso del reattore n. 4 l’uranio era debolmente arricchito (circa il 2 %).

Tale configurazione tecnica faceva si che il reattore presentasse un coefficiente di vuoto positivo, rendendolo instabile e pericoloso.

 

Figura A.1 – Vista recente da satellite della centrale nucleare di Chernobyl

 
Nei reattori di tipo occidentale infatti l’acqua leggera (H2O) svolge contemporaneamente il ruolo di refrigerante del nocciolo e moderatore dei neutroni (e per tale motivo necessitano di essere alimentati con uranio debolmente arricchito). Nel caso manchi il refrigerante per qualsiasi motivo la reazione a catena tende quindi a spegnersi (mancando anche il moderatore dei neutroni
[13]). Per tale motivo i reattori di tipo occidentale sono tutti intrinsecamente sicuri.

Poiché la sezione di cattura per assorbimento dell’acqua ordinaria è circa 100 volte maggiore di quella della grafite, ne consegue che nell’RBMK l’acqua è un ‘veleno’ neutronico, in mancanza del quale la reazione subisce una ’accelerazione’. Questo è il significato del termine ‘coefficiente di vuoto positivo’ (e si parla quindi, a differenza dei reattori occidentali, di instabilità intrinseca).  Tale tipo di macchina non ha analoghi nel mondo occidentale, perchè non avrebbe ottenuto mai la licenza di esercizio (licensing).

La scelta poi di consentire la produzione di plutonio di grado militare in un reattore adibito ad usi civili fu particolarmente infausta. Per tale fine infatti fu necessaria l’introduzione di grandi gru sopra il nocciolo del reattore per consentire la movimentazione del combustibile ‘in linea’ (senza spegnere il reattore). Questo portò inevitabilmente alla realizzazione di edifici di contenimento molto alti (oltre 70 metri), che fu impossibile realizzare con le dovute caratteristiche di robustezza e tenuta ai fini della sicurezza nucleare (contrariamente a quanto avveniva nel mondo occidentale). L’edificio di contenimento infatti aveva tutte le caratteristiche di una normale costruzione civile (volte a capriata, come le nostre chiese medioevali). La produzione di plutonio militare inoltre richiedeva di esercire gli impianti a temperature troppo alte per il mantenimento degli standard di sicurezza (infatti a regime la temperatura della grafite era di 600 °C, con punte di 700 °C, superiori alla soglia di reazione aria-carbonio e prossimi alla soglia della reazione acqua-carbonio [7]).

C’era inoltre un difetto di progettazione nelle barre di controllo: queste infatti terminavano con degli estensori di grafite di circa un metro, che quando venivano inseriti rimpiazzavano l’acqua, aumentando quindi, seppur per pochi secondi, il tasso di produzione di energia (invece di cominciare a ridurlo immediatamente). Tale comportamento delle barre è controintuitivo ed era ignoto agli operatori. Si aggiunga infine che l’accoppiamento di acqua e grafite risulta particolarmente pericoloso in caso di incidente: ad alte temperature infatti questi reagiscono formando miscele esplosive.

 

Figura A.2 – Una vista aerea dell’unità n. 4 della centrale di Chernobyl in seguito all’incidente

Si aggiunga che gli operatori non erano a conoscenza dei problemi del reattore e non erano opportunamente qualificati per i reattori del tipo RBMK-1000: il direttore V.P. Bryukhanov aveva esperienza su impianti a carbone, come anche Nikolai Fomin, che aveva esperienza su impianti convenzionali; anche Anatoliy Dyatlov aveva solo una limitata esperienza con i reattori nucleari, per lo più di piccola taglia per applicazioni sommergibilistiche.

L’incidente avvenne nel corso di una prova volta a verificare la possibilità di alimentare i sistemi di sicurezza durante il rallentamento del turbogeneratore in seguito a distacco dalla rete. Questa prova era stata richiesta ad altre centrali nucleari, ma avevano tutte rifiutato dato l’alto rischio. La titolarità dell’esperimento per lo più fu affidata a quello che verrà definito dalla stampa “il folle ingegnere elettrotecnico”, convinto di poter trattare l’impianto in maniera del tutto convenzionale. Il direttore Bryukhanov era uno specialista di turbine, ma purtroppo ignorante in campo nucleare: era stato promosso a titolo di direttore della centrale per ‘meriti di partito’, e tendeva a sostituire gli esperti di centrali nucleari con tecnici provenienti da centrali termiche convenzionali. La situazione è del tutto diversa nell’impiantro di Three Mile Island (USA): li è presente una sala controllo da esercitazione uguale a quella vera, dove i tecnici vengono addestrati per anni, al pari di un pilota di un aereo di linea.

I reattori come quello di Chernobyl hanno due sistemi diesel di emergenza, non attivabili istantaneamente. Quello che si voleva verificare era la possibilità alimentare le pompe grazie all’inerzia della turbina durante l’avvio dei generatori diesel. Il test era già stato condotto su un altro reattore (ma con tutti i sistemi di sicurezza attivati), con esito negativo. Fermato il turbogeneratore venne isolato il circuito di raffreddamento di emergenza, che avrebbe potuto invece abbassare rapidamente il contenuto di vapore nel circuito e forse evitare l’esplosione: si rivelò un errore madornale, dovuto a ignoranza della fisica nucleare (o a estrema ed ingiustificabile presunzione). Per una serie di circostanze la potenza del reattore fu ridotta a soli 30 MWth, ma si scelse comunque di non spegnere il reattore e continuare la prova: qualunque tecnico non digiuno di fisica nucleare avrebbe immediatamente capito l’estrema pericolosità della mossa. Durante la fissione nucleare infatti si forma un potente veleno neutronico, lo xeno-135. Quest’ultimo ad alti regimi di potenza viene consumato dallo stesso flusso neutronico del reattore (a sua volta direttamente legato alla potenza erogata dal reattore), ma a bassa potenza tende ad accumularsi. Per contrastare tale avvelenamento furono estratte le barre di controllo in maniera quanto meno avventata: le prescrizioni di sicurezza raccomandavano di lasciarne inserite almeno 28÷30, all’epoca dell’incidente le barre inserite si rivelò che erano solo 6÷8! Il personale, dati i ritardi con cui era iniziata la prova, aspirava a terminare presto il test (e questo contribuì a far precipitare gli eventi). Iniziò a formarsi del vapore nelle pompe, diminuendo la portata d’acqua nei canali principali, che, per i motivi visti, portò ad un aumento del tasso di reattività[14]. Si decise allora di inserire le barre di controllo precedentemente incautamente estratte, ma a causa della lentezza di inserimento (18÷20 secondi) e dei follower di grafite che rimpiazzavano l’acqua (vedi sopra), ci fu un aumento di reattività pari a 0,5 β[15], ed inoltre l’inserimento proseguì per soli 2,5 metri (invece che per i 7 metri di altezza del reattore – i canali si erano ormai deformati!). Fu la goccia che fece traboccare il vaso della pazienza del reattore (fig. A.2).

Ci fu una escursione di potenza pari a 100 volte quella nominale del reattore, e si verificarono delle reazioni chimiche che portarono alla formazione di gas esplosivi (idrogeno e metano) in seguito al contatto dell’acqua con lo zirconio e la grafite. La piastra superiore, del peso di 500 tonnellate, fu sbalzata. Il livello di radioattività (ovvero l’esposizione) nell’unità salì a 1000-1500 Roentgen/ora[16], ma il personale disponeva di strumenti con fondo scala di 1 milliRoentgen/ora. Gli strumenti con fondo scala opportuno giacevano chiusi a chiave in un edificio coperto dalle macerie. Lo scenario che ne seguì fu tragico, e solo l’eroismo delle squadre di soccorso consentì di spegnere l’incendio. Bruciò il 10 % della grafite contenuta nel reattore, che causò la colonna di fumo che si levò fino a 1200 metri di altezza, grazie alla quale le sostanze radioattive furono sparse in tutta Europa (i primi ad accorgersi dell’incidente furono gli Svedesi). Si stima ci fu un rilascio di radioattività di 50 milioni di curie[17] (fig. A.3).

Il tribunale condannò Viktor Bryukhanov, Nikolai Fomin, e Anatoliy Dyatlov[18] a 10 anni di reclusione con sentenza definitiva e senza alcuna possibilità di ricorso.

 

Figura A.3 – Foto della colata di "lava" nucleare dell’impianto di Chernobyl. In foto: 12 il calcestruzzo, 3 la tubazione del vapore, e 4 dell’attrezzatura elettrica. rappresenta la colata lavica

 

In seguito venne costruito un sarcofago per il ricoprimento dei resti del reattore. La sua struttura non è particolarmente solida, e si teme il tetto possa collassare in seguito ad evento sismico anche non particolarmente forte, con ulteriore rilascio di materiale radioattivo. La forte umidità presente continua ad erodere il calcestruzzo ed il ferro di costruzione. Nel 1997 è stato quindi costituito un fondo (Chernobyl Shelter Fund) al G7 di Denver per l’implementazione di un nuovo edificio di contenimento dell’impianto (fig. A.4). Si stima il suo costo sarà di 768 milioni di dollari, sarà costruito ex-situ e poi fatto ‘scivolare’ sopra il sarcofago, e dovrebbe venire terminato (dal consorzio Becthel-EdF) nel 2009.

Sulle conseguenze sanitarie dell’incidente non c’è accordo fra i vari organismi che si sono occupati della tematica[19]. I morti immediati (nel corso del primo anno dall’incidente) furono 31 (di cui uno d’infarto). Stimare le reali conseguenze dell’incidente con stime realistiche è virtualmente impossibile, poiché non è possibile provare quali siano le cause che hanno originato un cancro che porta al decesso[20]. Molti dei casi di tumori solidi e leucemia attesi non si sono verificati (secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità).

 

Figura A.4 – Rappresentazione del Nuovo Confinamento Sicuro che dovrà sostituire l’attuale sarcofago


Appendice B - Considerazioni di Carattere Sismico

 I criteri adoperati per la realizzazione degli impianti nucleari sono particolarmente severi in considerazione della gravità delle conseguenze che potrebbero derivare in caso incidentale.

Tutte le strutture ed i componenti rilevanti per la sicurezza nucleare e per la protezione sanitaria sono classificati in categoria sismica. Tali parti devono resistere alle sollecitazioni dovute ai terremoti di riferimento A[21] e B[22] in combinazione con gli altri carichi accidentali e normali, dovuti sia a cause interne che esterne. Nella progettazione dell’impianto si dovrà tener conto anche di eventuali effetti del sisma sulle fondazioni (cedimenti, fratture, frane, etc.).

Si noti che l’incidente di riferimento per gli impianti nucleari (per il quale quindi sono progettati) è costituito dal massimo evento sismico assunto per quella zona in concomitanza della troncatura indipendente a ghigliottina della tubazione primaria (!!!).

L’impianto nucleare sarà realizzato in modo tale che:

-       qualora si verifichi un sisma di intensità minore o uguale al tipo B, le conseguenze non siano tali da compromettere il normale esercizio

-       qualora invece si verifichi un sisma di tipo A, sia assicurato il funzionamento di tutti i sistemi necessari per lo spegnimento del reattore e mantenerne la condizione di spegnimento sicuro.

Nel progetto di un impianto nucleare devono essere presi in considerazione gli effetti del moto vibratorio del terremoto causato dai terremoti di riferimento A e B. A tal fine si procede ad una lunga serie di indagini preventive:

a)     Individuazione della provincia tettonica comprendente il sito e quelle limitrofe

b)    Valutazione in base a studi litologici, stratigrafici e geologico-strutturali del comportamento dei materiali geologici in superficie ed in profondità durante i precedenti terremoti

c)     Determinazione delle caratteristiche meccaniche (statiche e dinamiche) dei materiali sottostanti il sito

d)    Elenco di tutti i terremoti storici che hanno interessato la provincia tettonica comprendente il sito

e)     Correlazione, ove possibile, degli epicentri o delle zone macrosismiche di più alta intensità dei terremoti storici con le province tettoniche collocate anche solo parzialmente in quella comprendente il sito

f)     Determinazione dell’attività delle faglie

g)    Per le faglie si dovrà procedere a determinare:

      la lunghezza della faglia

      la relazione delle faglie con la strutture tettoniche della regione

      la natura, l’entità e la storia geologica degli spostamenti lungo la faglia

 

Attraverso tali indagini sarà possibile determinare il massimo terremoto che può statisticamente verificarsi durante la vita nominale delle costruzioni: si potrà così valutare la massima accelerazione al suolo, che costituirà il dato di input richiesto per la progettazione.

Per una valutazione di primo approccio si possono adoperare relazioni che sintetizzino per una data zona sismica informazioni in merito alla frequenza e l’intensità dei terremoti.

Per far questo si ricorre generalmente alla nota legge di Gutemberg-Richter:

 

 

in cui N(M) indica il numero medio di terremoti con magnitudo maggiore di M che si verificano in un anno nella zona considerata, mentre per A e B si possono considerare, per regioni con caratteristiche simili a quelle del nostro Paese, rispettivamente i valori 6,13 ed 1,03.

La relazione si riferisce ad un’area di 106 km2; i valori ottenuti quindi andranno divisi per questo valore. In base alle considerazioni di cui sopra si ottiene il grafico in fig. B.1.

 

Figura B.1 – Numero medio di terremoti di magnitudo maggiore di M in funzione di M

 

Si può facilmente notare che il numero medio di terremoti del 5° grado della scala Richter (equivalente grosso modo al V° grado della Scala Mercalli) sul km2 dell’impianto è dell’ordine di 10-5, che scendono a 10-7 per terremoti di magnitudo 7 (circa equivalente al IX° grado della Scala Mercalli).


Appendice C - L'ipotetico impatto di un aereo di linea su una centrale nucleare esistente

 

Recentemente sono stati sollevati dubbi in merito alla resistenza del contenimento di una centrale nucleare in caso di attacchi suicidi nello stile di quelli dell’11 settembre 2001 negli USA.

Vale la pena di ricordare alcuni fatti:

-       nel 1988 i laboratori di Sandia condussero un test sull’impatto di un aereo Phantom alla velocità di 480 miglia orarie (circa 770 Km/h) contro una parete che doveva simulare quella di un impianto nucleare: l’aereo si sbriciolò (il filmato è reperibile, ad esempio, al seguente indirizzo: http://www.sandia.gov/news/resources/video-gallery/index.html,

      oppure

      http://www.youtube.com/watch?v=TVz5vhNvskk)

-       il contenimento di un impianto nucleare è considerevolmente più piccolo del World Trade Center, per cui la probabilità di colpirlo molto minore (fig. C.1)

-       la struttura del contenimento di classe nucleare è assai più robusta delle fragili finestre e delle sottili strutture metalliche del WTC

-       se l’aeromobile colpisse qualche struttura intorno all’edificio di sicurezza il reattore nucleare si spegnerebbe automaticamente da solo grazie ai suoi innumerevoli sistemi automatici (anche se venisse distrutta la sala controllo!)

-       anche in caso di impatto laterale difficilmente un aereo di linea potrebbe danneggiare seriamente l’edificio (fig. C.2)

-       se venisse colpita la ‘testa’ del contenimento, molto probabilmente non si riuscirebbe comunque a danneggiare il reattore (che si trova molto al di sotto, in un ‘pozzo’ di cemento)

-       anche nella malaugurata ipotesi che l’aereo riesca a centrare nel punto giusto il contenimento a tutta velocità (fatto alquanto improbabile a detta degli stessi piloti di linea), e riesca a danneggiarlo assieme al reattore nucleare, il rischio principale per la popolazione che vive attorno all’impianto sarebbe costituto dall’inalazione dello iodio radioattivo. Esiste una contromisura molto efficace però: consiste nell’assumere pillole di iodio (di cui dispongono tutti i cittadini in un raggio di 5÷15 km dall’impianto), che saturano la tiroide entro 10÷15 minuti, impedendo l’assorbimento dello iodio radioattivo.

 

Figura C.1 – Confronto fra le dimensioni del World Trade Center, il Pentagono, e l’edificio di contenimento di un impianto nucleare [1]

 

Figura C.2 – Dettaglio costruttivo del muro di contenimento di una tipica centrale nucleare di tipo occidentale

Si rammenti inoltre che le strutture degli aerei di linea sono molto meno rigide di quello che possono sembrare: trattasi di gusci ‘vuoti’ di lega leggera, che quindi collassano facilmente urtando contro strutture rigide. I danni causati dagli attentati dell’11 settembre 2001 al Pentagono (le cui pareti sono in cemento armato e kevlar, ma non paragonabili a quello di un contenitore di classe nucleare) infatti si sono concentrati maggiormente sul primo anello (fig. C.3). Solo i motori, costruiti in acciaio (la cui densità rispetto a quella dell’alluminio è circa tripla), hanno continuato la loro corsa, fermandosi al terzo anello e scatenando un incendio.

 

Figura C.3 – Foto del Pentagono dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001. Nei circoletti in rosso i segni di quelli che sembrano i motori del Boeing-757 nel proseguimento della loro corsa.

Analogamente per le Twin Towers (figg. C.4÷C.5): dai filmati e dalle fotografie diffuse si vede chiaramente che gli aerei si ‘incastrano’ negli edifici, mentre i motori sfondano le strutture e proseguono la loro corsa.

 

Figura C.4 – Foto degli attacchi alle Twin Towers dell’11 settembre 200: attacco alla seconda torre; evidenti nel circoletto in rosso  i motori che per inerzia continuano la loro corsa

 

 

Figura C.5 – Foto degli attacchi alle Twin Towers dell’11 settembre 2001: dettaglio del motore del Boeing-767 cerchiato in rosso nella fig. A.4


Appendice D – Alcuni esempi di sistemi di sicurezza degli impianti esistenti

Al fine di garantire un adeguato livello di sicurezza in qualsiasi condizione operativa e/o incidentale, oltre alle barriere ingegneristiche di tipo passivo già descritte nel par. 2 si aggiungono poi una lunga serie di sistemi di sicurezza, attivi e passivi, atti a prevenire o gestire le più svariate condizioni incidentali.

Uno dei principali sistemi di sicurezza degli attuali impianti è il controllo di pressione del contenimento. Uno dei suoi componenti è costituito dal sistema di spray (fig. D.1), che attinge acqua ad una riserva (dell’ordine del milione di litri) e pompa acqua agli spruzzatori al di sopra del reattore, col fine, in caso incidentale di rottura della tubazione primaria, di favorire la condensazione del vapore (e quindi l’abbattimento della pressione) e la ritenzione dei prodotti di fissione volatili.

 

Figura D.1 – Sistema di spray di sicurezza all’interno del contenimento [3]

 
Un altro esempio di queste salvaguardie sono gli ECCS (Emergency Core Cooling Systems) che rappresentano le ‘cinture di sicurezza’ degli impianti nucleari. La loro presenza garantisce un ulteriore importante apporto alla sicurezza. Trattasi di una serie di sistemi che entrano in funzione in caso di incidente di perdita di refrigerante (LOCA) con conseguente depressurizzazione del circuito primario.

Se si prende a riferimento, ad esempio, un impianto PWR si hanno i seguenti sistemi:

-       HPIS (High-Pressure Injection System): entra in funzione quando si ha una moderata caduta di pressione nel circuito primario (da 15,5 MPa a 11 MPa). Ciò può essere dovuto ad una piccola rottura del circuito primario. Tale sistema provvede ad iniettare nel circuito acqua borata (un veleno neutronico che rallenta la reazione a catena)

-       In caso di rottura di entità maggiore entra in funzione l’Accumulator Injection System: trattasi di contenitori di acqua borata tenuti sotto un battente di azoto alla pressione di 1,4÷4,1 MPa. In caso la pressione scenda al di sotto di tale valore le valvole si aprono automaticamente iniettando nel ‘ramo freddo’ del circuito acqua borata fredda. Trattasi di un sistema passivo, in quanto non necessita dell’intervento di pompe azionate elettricamente

-       Se la pressione si riduce ulteriormente entrano in funzione gli LPIS (Low-Pressure Injection System): tale sistema utilizza le pompe e gli scambiatori di calore del sistema di rimozione residua del calore. Sono, come gli HPIS, un sistema attivo, che richiede l’intervento di pompe azionate elettricamente.

Le normative in merito alla progettazione degli ECCS sono severe: la NRC[23] richiede, in ogni caso, sia per reattori di tipo PWR che BWR [4], il rispetto, in caso di LOCA, delle seguenti condizioni (10 CFR 50):

-       la temperatura dell’incamiciatura non deve superare i 1204 °C (limite della reazione dello zircaloy con acqua per la formazione di idrogeno)

-       l’ossidazione totale in seguito ad interazione col vapore non deve superare il 17 % dello spessore iniziale dell’incamiciatura

-       la quantità totale di idrogeno generato dalla reazione chimica fra zirconio e acqua o vapore non deve superare l’1% del quantitativo che verrebbe generato se tutta l’incamiciatura reagisse

-       deve essere mantenuta la geometria dell'elemento di combustibile (al fine di poter inserire le barre di controllo in qualunque situazione e di poter refrigerare il nocciolo)

-       la temperatura del nocciolo deve poter essere mantenuta ad un valore sufficientemente basso per un adeguato lasso di tempo

 

Ogni impianto nucleare dispone inoltre di almeno 2 generatori Diesel di emergenza (spesso però sono anche di più), pronti a partire in pochi secondi ed a fornire elettricità ai sistemi ausiliari di sicurezza in caso di situazione incidentale e contemporanea messa fuori uso delle linee elettriche di alimentazione esterne (figg. D.2 e D.3). Vengono testati almeno 1÷2 volte al mese, dispongono di riserve di aria compressa o di cartucce esplosive, e diverse volte all’anno vengono fatti funzionare per 24 ore per assicurarsi del loro funzionamento.

 

    

Figura D.2 – Dettagli di generatori diesel per impianti nucleari [3]

 

Figura D.3 – Scudo di protezione da missili generati da tornado per la conduttura di aspirazione [3]


Appendice E – Il reattore EPR

 Il reattore EPR è stato progettato per l’uso ottimale del combustibile nucleare e la minimizzazione della produzione di attinidi (si veda l’articolo sulla tematica delle scorie nucleari [10]).

In particolare il reattore consente di risparmiare il 17 % del consumo di uranio, riducendo del 15 % la produzione di attinidi e guadagnando il 14 % nel rapporto fra energia elettrica prodotta contro rilascio termico nell’ambiente.

Un insieme di 4 sottosistemi (fig. E.1), o “treni”, ridondanti che provvedono al raffreddamento di emergenza del core[24], ognuno in grado di svolgere l’intera funzione di sicurezza autonomamente, sono localizzati in zone diverse dell’impianto e separati gli uni dagli altri: in tal modo il pericolo di malfunzionamento contemporaneo in seguito ad incidente (ad esempio incendio o impatto aereo) viene evitato.

 

Figura E.1 – Sistemi di ‘treni’ indipendenti del reattore EPR [8]

 Il contenimento di sicurezza (fig. E.2), è realizzato a doppia parete con un sistema di ventilazione e filtraggio. Nonostante i sistemi di sicurezza riducano la probabilità di un incidente quasi a zero, tale struttura impedisce un rilascio radioattivo all’esterno. Può sopportare pressioni e temperature molto alte, anche nell’ipotesi (di fatto altamente irrealistica) di fusione del nocciolo (meltdown).

 

     

Figura E.2 – Dettagli dell’edificio di contenimento del reattore EPR [8]

Anche in tale remotissima ipotesi, l’impianto prevede un sistema di raccolta (core catcher) del combustibile nucleare fuso (corium) per il suo confinamento e raffreddamento[25], realizzato in metallo e ricoperto da calcestruzzo ‘sacrificale’ (fig. E.3). L’obiettivo della vasta area di spargimento (170 m2) è quello di promuovere il raffreddamento del corium. Il trasferimento di quest’ultimo dal reattore all’area di spargimento avrebbe inizio con un dispositivo passivo: la fusione di un ‘tappo’ di acciaio. Dopo lo spargimento si avrebbe l’affogamento con acqua con dispositivi passivi (per gravità): tale sistema porterebbe alla stabilizzazione del corium entro poche ore ed alla sua completa solidificazione entro pochi giorni.

 

Figura E.3 – Deposito di acqua e area di ritenzione del corium all’interno del contenimento [8]

 
Tutto l’impianto è poggiato su un basamento di calcestruzzo di 6 metri di spessore (in grado di far fronte anche ai peggiori scenari sismici), mentre la parte superiore (che protegge l’edificio del reattore, del combustibile irraggiato
[26], la sala controllo, e due degli edifici di sicurezza) è costituita da due pareti, una (interna) di cemento precompresso, ed una (esterna) di cemento armato, entrambe dello spessore di 1,3 metri, per un totale di 2,6 metri di schermo di cemento (fig. E.4).

 

Figura E.4 – Contenitore di sicurezza del reattore [8]

 

Ulteriori aspetti di sicurezza del reattore EPR riguardano:

-       Le azioni di protezione e salvaguardia dell’impianto in caso di incidente sono automatizzate. Non viene richiesta alcuna azione dell’operatore prima di 30 minuti[27]

-       Nell’eventualità di incidente severo, per prevenire la perdita di integrità del contenimento nel lungo periodo, è necessario prevedere opportuni mezzi che limitino l’aumento di pressione a causa del calore di decadimento. A tale fine sono dedicati una sistema duale di spray con relativo scambiatore e pozzo di calore (fig. E.5)

-       Il guscio interno è progettato per resistere alla pressione che potrebbe generarsi in seguito alla combustione dell’idrogeno generato, in caso di incidente, dalla reazione fra la lega di zirconio e l’acqua. Inoltre i dispositivi ricombinatori (che ‘bruciano’ l’idrogeno gradualmente) ne mantengono la concentrazione sempre al di sotto del 10 %, scongiurando in questo modo ogni pericolo di detonazione (tale gas è esplosivo in un range di concentrazioni [14] comprese fra il 15 ed il 59 %)

-       In caso (vale la pena di ripeterlo: remotissimo) di meltdown, rimane come ulteriore barriera il contenimento. Vengono quindi prese opportune misure per mantenerlo integro e a tenuta:

1.     un liner metallico interno da 6 mm che ricopre il guscio interno di calcestruzzo armato

2.     le penetrazioni nel contenimento sono equipaggiate con valvole di isolamento ridondanti e dispositivi di ricupero delle perdite

3.     l’intercapedine fra i due gusci è mantenuta in leggera depressione per consentire il recupero di eventuali perdite

4.     sono previsti opportuni sistemi di ventilazione e filtraggio

 

Figura E.5 – Sistemi di sicurezza del reattore EPR

A scopo informativo vale la pena di ricordare che si prevede che l’impianto EPR di Olkiluoto cominci ad essere commercialmente operativo nel 2010 (fig. E.6).

 

Figura E.6 – Rappresentazione del sito di Olkiluoto a completamento dei lavori di realizzazione dell’impianto EPR


Appendice F – Il reattore HTR

Alla metà degli anni '50, una serie di studi sul reattore a gas ad alta temperatura sono stati iniziati in paesi differenti come il Regno Unito, gli Stati Uniti e la Germania. Essi hanno infine condotto alla costruzione di tre prototipi (DRAGON nel Regno Unito, Peach Bottom negli Stati Uniti e AVR in Germania). Questi reattori sono caratterizzati da un core completamente ceramico e da un refrigerante neutronicamente non attivo e non corrosivo (He) in modo da poter avere alte temperature operative. Il combustibile è costituito da una miscela semi-omogenea di uranio e/o torio e/o plutonio in forma di ossidi (o, al limite, di carburi) all'interno di una struttura di grafite che svolge le funzioni di moderatore e di riflettore. E' stato possibile raggiungere un alto burnup del combustibile grazie alla diluizione del combustibile ed al migliore comportamento della grafite irraggiata rispetto al rivestimento metallico. Gli alti fattori di conversione attesi erano dovuti all'assenza di veleni neutronici nella grafite e alle proprietà neutroniche eccellenti dell' U233 ottenuto dalla fertilizzazione del Th232. La grande capacità termica del core e la sua bassa di densità di potenza costituiscono la ragione della lenta progressione dei potenziali incidenti con molto tempo a disposizione per l'intervento. La autoregolazione del reattore in seguito ad escursioni di reattività è garantita da un intrinseco coefficiente negativo di temperatura. Queste caratteristiche sono alla base dell'interesse per lo sviluppo dei reattori a gas ad alta temperatura (o HTGR, High Temperature Gas cooled Reactor, come questi reattori sono chiamati negli Stati Uniti).

Nei primi progetti, il combustibile (ossido o carburo di uranio) era posto semplicemente in un rivestimento di ceramica; ciò conduceva ad un rilascio molto alto dei prodotti di fissione nel circuito primario. Di conseguenza, l'AVR ed il DRAGON sono stati progettati con un doppio contenitore a pressione e con sistemi altamente specializzati di purificazione dell'elio.

L'innovazione fondamentale nel campo della tecnologia degli HTR è stata l'invenzione della particella rivestita del combustibile (CP, Coated Particle) che è stata concepita praticamente allo stesso tempo (1957-1961) dall' UKAEA in Gran Bretagna (Huddle, Goeddel) e da Battelle (Oxley) negli Stati Uniti. Nessun brevetto è stato richiesto per questa pietra miliare della tecnologia degli HTR.

Ci sono principalmente due tipi di CP:

  • la particella BISO che ha uno strato poroso attorno al kernel e due strati più esterni di grafite pirolitica ad alta densità;
  • la particella TRISO che possiede uno strato aggiuntivo di carburo di silicio (SiC) fra i due strati di grafite pirolitica, strato che fornisce una resistenza strutturale e serve anche come barriera altamente efficiente contro la fuoriuscita dei prodotti di fissione.

Le particelle BISO sono state prodotte in grandi quantità per i primi reattori HTR sperimentali e dimostrativi mentre le particelle TRISO (figg. F.1 e F.2) sono state sviluppate successivamente per gli HTR con ciclo diretto di elio in turbina che richiedono un circuito primario molto pulito.

 

Figura F.1 TRISO CP [12]

 

 

Figura F.2 Struttura interna della TRISO CP [12]

Differenti tipi di elemento di combustibile sono stati sviluppati per gli HTR (fig. F.3):

·       elementi di tipo a sfera o Pebble (omogenea distribuzione delle CP nelle pebble stesse come mostrato in fig. F.4;

·       elementi di tipo Block type (CP concentrate in compact costituenti le barrette a loro volta inseriti in un matrice di grafite come mostrato in fig. F.5);

·        elementi di tipo Pin-in-Block (dove i compact simili ai precedenti ma forati centralmente sono incamiciati prima di essere inseriti in un matrice di grafite).

Figura F.3 Differenti tipi di elemento di combustibile per HTR [12]

 

pebble

Figura F.4 Elementi di combustibile del tipo a pebble [12]

Figura F.5 Elementi di combustibile di tipo block type [12]

Come già detto, l’elemento fondamentale della sicurezza per i reattori HTR è costituito dal fatto che gli esperimenti di surriscaldamento per simulare situazioni incidentali hanno indicato che i prodotti di fissione sono trattenuti praticamente del tutto (in assenza di acqua e di aria) nelle particelle TRISO per temperature inferiori a 1600 °C (figg. F.6 e F.7).

Inoltre la bassa densità di potenza tipica di questi reattori (qualche KW/l) fa si che anche questa temperatura non venga mai raggiunta.

 

 

Figura F.6 Frazione di rottura delle microsfere in funzione della temperatura[28]

 

Figura F.7 Frazione di rilascio dei prodotti di fissione gassosi in funzione della temperatura[29]

Uno dei più importanti contributi alla dimostrazione sperimentale della sicurezza intrinseca dei reattori HTR è stata fornita con la simulazione di un incidente di perdita completa del refrigerante per il reattore AVR [12]. Il test è stato effettuato nel periodo 14÷19 Ottobre del 1988. Poiché l'AVR non era dotato di un sistema di rimozione rapida dell'elio, dopo l'arresto delle soffianti furono necessari circa tre giorni per effettuare questa rimozione, in quanto il gas doveva essere pompato in opportuni recipienti, realizzando una graduale depressurizzazione. Durante tale periodo il calore di decadimento sarebbe diminuito a livelli molto inferiori a quelli che si avrebbero immediatamente dopo un incidente reale di LOCA. Per rendere realistica la simulazione è stato dunque necessario prevedere una generazione di calore dopo il normale spegnimento e raffreddamento del reattore, tale da simulare la produzione di calore (dovuta al decadimento dei prodotti di fissione) in un LOCA reale dopo lo scram[30] (fig. F.8). Si è quindi subito pensato al calore generato tramite potenza di fissione con l'evidente vantaggio di poter fermare il test in qualunque momento, inserendo le barre di controllo. Il test di LOCA compiuto sul reattore AVR ha dimostrato che, durante tale transitorio, le temperature del combustibile e dei componenti rimangono sotto i limiti di rischio e che il coefficiente di temperatura si conserva negativo. È anche opportuno sottolineare che in questa esperienza il calore è stato rimosso dal nocciolo esclusivamente con mezzi passivi, così come previsto negli attuali HTR. L'importanza di questo esperimento è che è stato dimostrato sperimentalmente il possesso da parte degli HTR di caratteristiche di sicurezza intrinseca in caso di LOCA, confermando i risultati già ottenuti per via teorica con opportuni codici di calcolo.

 

Figura F.8 Simulazione dei livelli di potenza di decadimento dopo lo scram tramite la potenza di fissione [12]

Nella fig. F.9 sono riportati gli andamenti temporali di alcune temperature misurate durante il test in varie zone del nocciolo. Si è constatato che tali temperature (ottenute attraverso strumentazione delle pebble) sono sempre state minori di 1000°C, ben al di sotto della temperatura per la quale è assicurata la completa ritenzione dei prodotti di fissione da parte delle microsfere.

Figura F.9 Risultati sperimentali del test di LOCA condotto il 14÷19 Ottobre del 1988[12]

Un passo fondamentale ai fini della sicurezza, oltre che dell'economia, è stato il passaggio al ciclo diretto, escludendo la possibilità di ingresso di acqua nel nocciolo ed apportando notevoli semplificazioni impiantistiche. La fig. F.10 indica gli elementi dell'impianto che sono stati eliminati.

 

Figura F.10 – Semplificazioni apportate nel progetto GT-MHR rispetto ad un impianto LWR [12]

Questa possibilità ha condotto quindi allo sviluppo dei reattori a temperatura elevata modulari (MT-HTR) che sono progettati (densità di potenza bassa e più alto rapporto di altezza/diametro del core) in modo che questa temperatura non possa essere oltrepassata, neppure nel caso di depressurizzazione, sfruttando la rimozione passiva di calore di decadimento (fig. F.11). Tutte le simulazioni numeriche di transitori sviluppate dalla General Atomics, dalla Framatome, dalla JAERI, dal progetto HTR-L e dalla CEA (vedi rif. [12]) hanno confermato che in nessun caso in nessun punto del core la temperatura di 1600 °C viene mai raggiunta.

 

Figura F.11 Irraggiamento e conduzione passivi del contenimento

Dal punto di vista della sicurezza, l'introduzione del ciclo diretto ha, di fatto, eliminato la possibilità dell'incidente conseguente all'ingresso di acqua nel core.

Ulteriore dettagli sugli aspetti di sicurezza relativi a questi reattori possono essere trovati nel rif. [12].

 


Ringraziamenti

Gli autori desiderano ringraziare per la cortese collaborazione prestata il Prof. S. Paci e l’Ing. P. Fornaciari.


Bibliografia

 

[1] Nuclear Energy Institute – http://www.nei.org/documents/multiple_layers_of_safety.htm

[2] B. Guerrini, S. Paci – “Appunti di Impianti Nucleari –  Parte IIA: Filiere” – SEU

[3] The Virtual Nuclear Tourist – http://www.nucleartourist.com/

[4] S. Glasstone, A. Sesonske – “Nuclear Reactor Engineering” – Chapmann & Hall

[5] B. Guerrini, S. Paci – “Appunti di Impianti Nucleari – Parte I: Aspetti Generali” – SEU

[6] Ing. Paolo Fornaciari – Comunicazione privata

[7] P. Fornaciari – “Il petrolio, l’atomo e il metano – Italia nucleare 1946-1997” – 21mo Secolo, 1997

[8] http://www.areva-np.com/scripts/info/publigen/content/templates/show.asp?P=1655&L=US

[9] V. Romanello, G. Lomonaco, N. Cerullo – “I Veri Costi dell’Energia Nucleare” – DIMNP, NT1127(2006) – http://www2.ing.unipi.it/~d0728/GCIR/Costi.pdf

[10] V. Romanello, G. Lomonaco, N. Cerullo – “La Sistemazione in Sicurezza delle Scorie Nucleari” – 21mo Secolo, n. 3 Luglio 2005 - http://www2.ing.unipi.it/~d0728/GCIR/La%20sistemazione%20in%20sicurezza%20delle%20scorie%20nucleari.pdf

[11] V. Romanello – “Analisi di alcune peculiari potenzialità degli HTR: la produzione di idrogeno ed il bruciamento degli attinidi” – Tesi di Laurea in Ingegneria Nucleare –Relatori: Prof. N. Cerullo, Prof. G. Forasassi, Prof. B. Montagnini, Ing. G. Lomonaco – http://etd.adm.unipi.it/theses/available/etd-10152003-181233/

[12] G. Lomonaco – I recenti sviluppi dei reattori a gas ad alta temperatura. La collocazione di questi impianti nel futuro panorama energetico mondiale. Il programma europeo HTR-N e l’attività di ricerca svolta dal DIMNP nel suo ambito – Tesi di Laurea in Ingegneria Nucleare – Relatori: Prof. N. Cerullo, Prof. G. Forasassi, Prof. B. Montagnini – http://www.tesionline.it/default/tesi.asp?idt=10251

[13] G. Petrangeli – “Sicurezza Nucleare” – ETS, Pisa 2003

[14] G. Lomonaco – Problematiche di sicurezza nella produzione di idrogeno mediante impianti HTR – Tesi di Laurea in Ingegneria della Sicurezza Industriale e Nucleare – Relatori: Prof. M. N. Carcassi, Prof. N. Cerullo http://www.tesionline.it/default/tesi.asp?idt=10361

[15] E. Bomboni Le scorie nucleari: analisi della loro possibile riduzione mediante cicli del combustibile innovativi – Tesi di Laurea in Ingegneria Nucleare – Relatori: Prof. N. Cerullo, Prof. G. Forasassi, Ing.. G. Lomonaco, Ing. V. Romanello – http://etd.adm.unipi.it/theses/available/etd-06122006-143839/



[1] International Atomic Energy Agency

[2] Attualmente ceramica

[3] In quanto il reattore era stato progettato per produrre Pu WG il che richiedeva un ricambio del combustibile molto frequente, cosa non effettuabile con un contenimento di tipo occidentale

[4] LOCA: Loss Of Coolant Accident, ossia incidente da perdita di refrigerante. Rappresenta uno degli scenari peggiori cui l’impianto può andare incontro. Dopo lo spegnimento del reattore nucleare per mezzo delle barre di controllo i prodotti di fissione continuano a decadere, generando calore. Dopo circa un’ora la potenza del reattore si riduce all’1% circa di quella di esercizio (allo 0,5 % dopo un giorno). Su 3000 MWth si ottengono potenze di decadimento dell’ordine di 30 MWth, potenza consistente (pari a quella di circa 60 autotreni). Quest’ultima va smaltita, altrimenti la temperatura del combustibile continua a salire fino al danneggiamento e conseguente rilascio dei prodotti di fissione. Per smaltire la potenza di decadimento dei prodotti radioattivi è sufficiente mantenere costantemente sotto un battente di acqua il combustibile

[5] Detti anche snubbers

[6] Cladding

[7] Pozzo secco

[8] Piscina di raccolta

[9] Circuiti di raffreddamento

[10] Department Of Energy

[11] I nomi dei Ministeri e degli Enti coinvolti risalgono a qualche anno fa

[12] Legenda: RPS – Rapporto Preliminare di Sicurezza, RTC – Relazione Tecnica di Commento, RM – Relazione del Ministero

[13] La sezione di cattura dell’uranio 235 – parametro che indica il rateo di fissioni e quindi di produzione di energia-, isotopo fissile dell’uranio, è alta per neutroni ‘termici’, ossia rallentati ad energie dell’ordine di 0,025 eV. Alla nascita per fissione questi possiedono energie dell’ordine di 2 MeV (milioni di eV!): la sezione di cattura a tali energie è molto più bassa. Di conseguenza, se i neutroni non vengono ‘moderati’ la reazione a catena si ‘spegne’

[14] Ossia del rateo di fissioni nucleari, direttamente proporzionali alla potenza termica prodotta dal reattore

[15] β rappresenta la frazione di neutroni ritardati nella fissione nucleare. Nonostante la grande maggioranza dei neutroni vengano emessi istantaneamente, una piccola frazione pari allo 0,65 % del totale nell’uranio 235, viene emessa nell’arco di qualche decina di secondi. Tale frazione è determinante per il controllo del reattore (che viene progettato in maniera tale da essere critico grazie al contributo dei neutroni ritardati). Una situazione molto pericolosa da evitare è quella in cui si ha un reattore ‘pronto critico’, ossia quando la criticità viene raggiunta indipendentemente dalla frazione di neutroni ritardati (data la moltiplicazione esponenziale delle fissioni)

[16] Il Roentgen misura l’esposizione alle radiazioni ionizzanti, ovvero la capacità di ionizzazione che può essere prodotta in seguito ad una determinata esposizione a raggi x o gamma. 1 Roentgen equivale, in unità SI, alla quantità di radiazione capace di produrre una carica di 2,58·10-4 coulomb in 1 Kg di aria secca. Le dosi generalmente coinvolte nelle normali operazioni sono dell’ordine dei milliRoentgen/ora. Per i tessuti molli e radiazioni elettromagnetiche è: 1 Roentgen ≈ 1 Rad  = 1 REM. I primi effetti sul corpo umano si cominciano ad osservare per equivalenti di dose di 5 REM (0,05 Sievert)

[17] 1 Curie = 3,7·1010 Becquerel, unità di misura della attività (ossia del numero di disintegrazioni al secondo). 1 curie equivale all’attività di 1 grammo di radio (mentre 1 Bequerel rappresenta 1 disintegrazione al secondo)

[18] Anatoliy Dyatlov fu rilasciato dopo cinque anni di prigionia. Scrisse un libro in cui sosteneva che la causa primaria dell’incidente risiedeva nel progetto sbagliato dell’impianto, non nel comportamento degli operatori. Nel 1995 morì a causa di una esposizione pari a 5,5 Sievert (550 REM) cui fu sottoposto durante l’incidente

[19] In realtà alcune stime ‘catastrofiste’ si basano sul principio di linearità senza soglia. Trattasi di un principio adottato dalla prassi radioprotezionistica per motivi prudenziali, ma del tutto privo di fondamento scientifico. Sono ben noti infatti gli effetti delle radiazioni ad alti equivalenti di dose, ma è praticamente impossibile investigarne in maniera deterministica gli effetti a basse dosi. Il principio di linearità senza soglia appare del tutto irragionevole, perché non ammette il ricupero da parte dell’organismo e la riparazione dei tessuti. In termini semplici equivale a dire che se distribuisco carezze a un milione di persone o pugni ad un centinaio , gli effetti sanitari sono gli stessi!

[20] Ad esempio la dose assorbita mediamente dalla popolazione italiana è stata pari a quella di una comune radiografia, ma meno pericolosa perché ‘diluita’ nell’arco di una settimana. La proibizione del consumo di verdure a foglia larga fu imposta per precauzione: in realtà esse presentavano una attività pari a 4 microcurie al Kg, da confrontare con la radioattività del corpo umano (del tutto naturale, dovuta agli isotopi radioattivi del potassio e del carbonio) dell’ordine del microcurie!

[21] Terremoto di Riferimento A: terremoto che produce sul sito il massimo movimento vibratorio ipotizzabile considerando le caratteristiche geologiche e sismiche della provincia tettonica comprendente il sito e le zone limitrofe, assieme alle caratteristiche meccaniche dei materiali sottostanti

[22]Terremoto di Riferimento B: terremoto che produce sul sito il massimo movimento del terreno che ragionevolmente potrebbe verificarsi durante la vita dell’impianto considerando le caratteristiche geologiche e sismiche della provincia tettonica comprendente il sito e le zone limitrofe, assieme alle caratteristiche meccaniche dei materiali sottostanti

 

[23] Nuclear Regulatory Commission

[24] Il core (o nocciolo) del reattore nucleare è l’ alloggiamento del combustibile nucleare dove avvengono le reazioni nucleari e quindi la produzione di energia; necessita quindi di refrigerazione anche dopo lo ‘spegnimento’ del reattore

[25] Bisogna sfatare alcuni miti in merito alle conseguenze del meltdown. In un film del 1979 di James Bridges dal titolo ‘Sindrome cinese’ (The China Syndrome), con Jane Fonda, Jack Lemmon e Michael Douglas, si sostiene che se l’uranio rimane ‘scoperto’ “…fonde attraverso la base della centrale, in teoria arrivando fino alla Cina (!), ma naturalmente, appena incontra una falda d’acqua sotterranea esplode nell’atmosfera creando nuvole radioattive…rendendo un’area come la Pennsilvania permanentemente inabitabile, per non parlare dei casi di cancro che si avrebbero in seguito”.

Naturalmente tali affermazioni sono completamente assurde e del tutto prive di qualsiasi fondamento scientifico:

-        se anche un corpo attraversasse tutto il pianeta per fuoriuscire dalla parte opposta, partendo dagli USA – che si trovano nell’emisfero nord - , giungerebbe nell’Oceano Indiano, vicino alle coste australiane – che si trovano nell’emisfero sud, e non certo in Cina

-        giunto al centro della Terra qualunque oggetto si fermerebbe, perché banalmente li la forza di gravità sarebbe pari a zero

-        ci si dimentica che il sottosuolo terrestre è una grande fornace nucleare: infatti solo 100 km (mediamente) su 6000 – ossia una ‘pellicola’ – è costituita dalla crosta terrestre. Il sottosuolo è costituito in gran parte da roccia fusa per le altissime temperature, legate per l’80 % al decadimento radioattivo dei minerali (a base di uranio, torio, ecc.) presenti. E’ ovvio quindi che anche se il nocciolo fuso giungesse in tale zona vi si ‘diluirebbe’

-        in realtà il corium potrebbe al massimo scavare qualche decina di metri nel terreno, poi incontrerebbe una falda d’acqua. L’acqua tenderebbe a raffreddare la massa fusa (nella quale intanto la reazione a catena si sarebbe completamente spenta, a causa dell’accumulo dei veleni, della geometria non ottimale, ecc.). Difficile credere ad un’esplosione improvvisa e catastrofica: il nocciolo del reattore infatti, in condizioni ottimizzate per la produzione di energia, si trova immerso in acqua nel normale funzionamento!

[26] Ossia quel combustibile che, dopo aver soggiornato all’interno del reattore ed aver erogato energia (in misura pari al burnup), viene estratto e posto nelle piscine di decadimento a raffreddarsi fino allo smaltimento definitivo (riprocessamento o smaltimento in siti geologicamente stabili). E’ costituito in massima parte da uranio (circa il 95 %), ma anche da prodotti di fissione (3-4 %), plutonio (1 % circa), ed attinidi minori (circa 0,1 %)

[27] Caratteristica importante: nel caso dell’incidente di Three Mile Island, avvenuto il 28 marzo del 1979, l’operatore fu ‘bombardato’ da una serie di allarmi, e una concausa dell’incidente fu dovuta ad una sua mossa affrettata ed azzardata

[28] In assenza di acqua e di aria

[29] In assenza di acqua e di aria

[30] Scram: spegnimento rapido del reattore, spesso attraverso l’inserimento rapido delle barre di controllo




Indice


Premessa

Glossario

1 - La filosofia della sicurezza negli impianti nucleari

1.1  - Obiettivi della Sicurezza Nucleare

1.2  - L'approccio di base della Sicurezza Nucleare

2 – La Sicurezza Nucleare degli impianti esistenti e futuri

2.1 - I reattori esistenti (Generation II)

2.2 - Generation III e III+ (EPR e HTR)

2.3 - Generation IV

3 - Procedura Autorizzativa per l'avvio di un impianto nucleare

3.1 - Fase A: Ottenimento da parte del richiedente del nulla osta di costruzione

3.2 - Fase B: Approvazione dei Progetti Particolareggiati

3.3 - Fase C: Approvazione del Progetto delle Prove Combinate d’Impianto

3.4 - Fase D: Esecuzione delle Prove Combinate d’Impianto

3.5 - Fase E: Approvazione del Piano d’Emergenza Esterno

3.6 - Fase F: Approvazione del Programma Generale delle Prove Nucleari

3.7 - Fase G: Esecuzione delle Prove Nucleari

3.8 - Fase I: Licenza di Esercizio

4 - Conclusioni

Appendice A - L’incidente Nucleare di Chernobyl

Appendice B - Considerazioni di Carattere Sismico

Appendice C - L'ipotetico impatto di un aereo di linea su una centrale nucleare esistente

Appendice D – Alcuni esempi di sistemi di sicurezza degli impianti esistenti

Appendice E – Il reattore EPR

Appendice F – Il reattore HTR

Ringraziamenti

Bibliografia