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Può la
fissione nucleare essere un fenomeno naturale? Il caso di Oklo di
V. Romanello, N. Cerullo, G. Lomonaco
Qualche
anno dopo l’accensione da parte di Enrico Fermi della prima pila atomica della
storia (avvenuta il 2 dicembre 1942), gli scienziati cominciarono ad
investigare sull’arricchimento dell’uranio, considerando campioni provenienti
da centinaia di siti diversi; il valore universalmente riscontrato del rapporto
fra uranio 235 (U235) ed uranio 238 (U238) è oggi di 0,007202±0.00006
(valore riscontrato anche nelle rocce lunari) [1]. Il 2
giugno 1972 nell’impianto francese di produzione del combustibile nucleare di
Pierrelatte fu rilevato che alcuni campioni dell'uranio proveniente dal
giacimento di Oklo, nel Gabon (Africa equatoriale) aveva un arricchimento di 0,00440.
Tale circostanza suggerì la presenza di un inatteso fenomeno. All’inizio si
pensò che inavvertitamente del combustibile esausto fosse finito nell’impianto,
ipotesi però subito scartata a causa dell’assenza del forte campo di radiazioni
che in tal caso sarebbero stato presente. Un esame approfondito del fenomeno ha
portato alla conclusione che si trattava delle conseguenze di un bruciamento
dell'U235 in seguito a reazioni di fissione avvenute in una sorta di
reattore nucleare "naturale". In seguito
si rilevò che si sarebbe trattato di ben 17 reattori nucleari naturali
sotterranei. Successivamente ne è stato scoperto un altro a Bangombe, sempre
nel Gabon, a Come è
potuto avvenire questo straordinario fenomeno? La spiegazione risiede nei
diversi periodi di dimezzamento dell’U235 (fissile) e dell’U238
(fertile), rispettivamente 7,04∙108 e 4,47∙109 anni (fig.1).
Pertanto la composizione isotopica risulta variabile nel tempo. Si calcola
facilmente che circa due miliardi di anni fa la percentuale di U235
(arricchimento) era pari al 3% (ossia all'incirca quella degli odierni reattori
nucleari ad acqua). Poiché
l’unico processo conosciuto che porta ad una riduzione del contenuto di U235
è la fissione nucleare, i tecnici francesi teorizzarono la presenza di alcuni
reattori nucleari due miliardi di anni prima. Naturalmente la formazione dei
reattori poteva anche essere anteriore, tuttavia i depositi sedimentari di
uranio della regione di Oklo hanno richiesto, per la loro formazione, il
trasporto per mezzo dell'acqua di ioni uranili (UO2++)
reso possibile, in quanto l’uranio è insolubile in acqua priva di ossigeno,
dalla presenza di batteri ossigeno-produttori, (che non esistevano prima di
circa due miliardi di anni fa). Si è calcolato
che, in tali depositi, abbiano subito fissione nucleare circa 5 tonnellate di
uranio 235, con una produzione di 6 tonnellate di prodotti di fissione e 2,5
tonnellate di plutonio, con un rilascio di energia di circa 108 MWh
(ossia l’energia elettrica che un impianto da 1000 MWe produce in oltre 11 anni
di funzionamento!). Probabilmente
i reattori di Oklo hanno lavorato in modo pulsato, a livelli medi di potenza di
0,01 MW, per tempi dell’ordine del milione di anni. Il meccanismo che si può
ipotizzare è il seguente: il calore provocava l'evaporazione l’acqua che aveva
assolto la funzione di moderatore, interrompendo la reazione che ripartiva solo
in presenza di altra acqua. Ulteriori
conferme all’ipotesi della pregressa esistenza di reattori nucleari "naturali"
si sono avute dall’analisi delle distribuzioni isotopiche di alcuni elementi,
che si avvicinava molto più a quella originata dalla fissione dell’uranio che
non a quella riscontrata in natura. Tale analisi ha inoltre consentito di
stimare l’età dei reattori. La storia
del sito di Oklo può essere divisa in quattro tappe: - fase di mobilizzazione dell’uranio, iniziata circa 3,5
miliardi di anni fa; - formazione dei reattori, circa 2,8 miliardi di anni
fa; - entrata in funzione dei reattori, circa 2 miliardi di
anni fa ; - movimentazione dei prodotti di reazione, negli ultimi
2 miliardi di anni. Tali stime
sono state possibili grazie all’utilizzo di opportuni "orologi"
radioattivi (U238, etc.). In
particolare un indice molto chiaro di quello che era avvenuto si era avuto
dall’analisi dell’abbondanza isotopica dei minerali presenti nel sito: gli
isotopi del neodimio (in particolare Nd142, e Nd143) e
del rutenio (in particolare il Ru99 e Ru100) dimostravano
un’abbondanza isotopica molto più vicina a quella originata dalla fissione
dell’uranio 235 rispetto a quella naturale. I reattori
di Oklo costituiscono un fenomeno naturale raro ed affascinante. Essi
rappresentano un esperimento naturale che, tra l'altro, prova l’affidabilità
del deposito geologico delle scorie nucleari. Si è constatato che molti
prodotti delle reazioni nucleari (gli attinidi, i lantanidi, etc.) sono rimasti
praticamente immobilizzati nel sito fino ad oggi, altri hanno subito una
movimentazione o redistribuzione molto localizzata. E' opportuno anche
ricordare che il sito di Oklo non è certo ideale per il deposito geologico a
causa dell’alta porosità delle rocce e delle grandi quantità di acqua fluente,
capace di mobilizzare prodotti quali il rubidio o il cesio. A titolo
informativo, va rilevato che lo studio del sito di Oklo ha di recente
consentito una scoperta che se confermata sarebbe rivoluzionaria: un team di
tecnici del LANL (Los Alamos National
Laboratory) avrebbe ipotizzato che la costante alfa di struttura fine,
inversamente proporzionale alla velocità della luce (supposta fino ad oggi una
costante della natura), avrebbe subito una riduzione; questo implicherebbe
quindi che la velocità della luce abbia subito un’accelerazione. Il fatto
che questi reattori nucleari abbiano funzionato per tanto tempo prova che sia
le radiazioni sia le scorie nucleari non hanno distrutto gli ecosistemi
presenti in loco. Figura 1 – Arricchimento
dell’uranio naturale in funzione del tempo; nell’intersezione con la linea
verde l’arricchimento all’epoca dei reattori di Oklo, nell’intersezione con la
linea tratteggiata in blu quello attuale [2]. Bibliografia [1] “Introductory Nuclear Physics”, K. S. Krane – Wiley – pagg.516-520 [2]
– “Analisi di alcune peculiari potenzialità degli HTR: la produzione di
idrogeno ed il bruciamento degli attinidi” - V. Romanello - Tesi di laurea in
Ingegneria Nucleare, relatori prof. N. Cerullo, prof. G. Forasassi, prof. B.
Montagnini, ing. G. Lomonaco, Università di Pisa - Ottobre 2003 http://etd.adm.unipi.it/theses/available/etd-10152003-181233/ |